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Il cavallo di Torino

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su Il cavallo di Torino

di steno79
10 stelle

VOTO 10/10 Straordinario film sull'Apocalisse prossima ventura, ultima pellicola di Bela Tarr, co-diretta con la moglie Agnes Hranitzky, che dopo questo film ha annunciato il suo ritiro dalla regia. Si tratta di un cinema estremo, anti-narrativo, minimalista all'ennesima potenza, che per due ore e mezza vede in scena un padre e una figlia e un cavallo in una remota fattoria della puszta ungherese, impegnati nell'ardua impresa di tentare di sopravvivere. Nel suo tentativo di rinnovare una forma cinematografica sperimentale depurata da scorie letterarie e centrata ossessivamente sull'immagine, sulle variazioni luministiche all'internob del quadro, sulla pregnanza del "long-take" e dei movimenti di macchina calibrati al millimetro, Tarr ne esce ancora una volta splendidamente vincitore, come già era avvenuto in "Satantango". Nonostante la difficoltà di questo linguaggio audiovisivo e il rischio della noia per il pubblico meno esigente, si può affermare che "Il cavallo di Torino" sia uno dei film più "cinematografici" degli ultimi anni. E' anche uno dei film che hanno saputo rappresentare con maggiore potenza la furia distruttiva degli elementi naturali e in particolare del vento, che soffia costantemente nelle scene in esterni con un sibilo spettrale che riporta alla memoria il capolavoro del muto "The wind" di Victor Sjostrom con Lillian Gish. In quanto alla visione estremamente pessimistica di cui è impregnata la pellicola, si può naturalmente non condividerla, ma non dovrebbe inficiare il giudizio in sede più propriamente estetica; l' "ombra nietzscheana" rappresentata dal discorso apocalittico del vicino di casa è l'unico momento di un film quasi muto in cui la parola prevale nettamente sull'immagine, con un monologo molto fitto e concettualmente impegnativo che ci parla del degrado del mondo contemporaneo e del trionfo della parte "oscura" su quella "nobile, eccellente e virtuosa". Gli attori sono utilizzati alla stregua di modelli bressoniani, come puro materiale plastico da plasmare nelle mani del regista, quindi non si può parlare di interpretazioni nel senso tradizionale del termine; in ogni caso Erika Bok, che già fu la bambina Estike di "Satantango" trasmette bene la crescente rassegnazione della figlia di fronte ad una lotta sovrumana, già persa in partenza. La colonna sonora di Mihaly Vig, con l'utilizzo ossessivo di un unico tema musicale, e la fotografia in bianco e nero di Fred Kelemen sono il degno corredo di un'opera intransigente e per certi versi perfino respingente, che non cerca facili consensi, ma che può risultare un'esperienza di grande arricchimento interiore. Orso d'argento a Berlino assegnato da una giuria presieduta da Isabella Rossellini, in un'edizione in cui l'Orso d'oro andò a "Una separazione" di Asghar Farhadi, che personalmente ritengo un altro capolavoro del cinema contemporaneo.

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