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Super 8

Regia di J.J. Abrams vedi scheda film

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La recensione su Super 8

di Enrique
6 stelle

Gradevole avventura sci-fi dal sapore vintage (Stuntman Miglio) questo Super 8.
Le lancette del tempo vengono portate indietro (Kurtisonic) per consentirci di entrare nei panni di un affiatato gruppo di simpatici ragazzini alle prese con le mirabolanti avventure del loro tempo; per provare a respirare l’aria stagnante, a cavallo fra i ’70 e gli ’80 (si respira profumo di quel periodo, ma tecnologicamente si guarda oltre: ico), dell’immutabile provincia americana (l’Ohio in questo caso) e sperimentare tecniche di ripresa quasi innovative (se viste dagli occhi di un bambino), onde realizzare nuove forme di espressione cinematografica (sulla scia dell’horror di Romero che, invero, all’epoca impazzava già da qualche anno), mentre il cuore batte forte (per una Elle Fanning così spaventosamente brava da gettare un’ombra su tutti gli altri) e tutt’intorno brucia (letteralmente).
Curioso assistere alla metamorfosi di Abrams nello Spielber delle nuove generazioni, depositario del loro immaginario collettivo, facendo intravedere loro che cosa si sono persi (bradipo68). E piacevole è lo scorgere come Abrams riesca a gestire contemporaneamente tanti splendidi pezzi di cinema d’autore (e non) inerenti l’iter di formazione di un gruppo di amici, combattuti fra il desiderio di sognare in grande (quando si crede di avere i mezzi necessari per realizzare i propri sogni) per affermare se stessi e la necessità di dare prova - del tutto avventatamente (sennò non c’è gusto) - ai burberi adulti delle proprie capacità.
Una sensazione di piacevolezza - e qui sta l’inghippo - assai volatile.
Colpa degli effetti speciali esageratamente pirotecnici e inverosimili (scena del deragliamento) e abbondantemente abusati, come da copione? Non proprio. Colpa, più che altro, della sceneggiatura. Oltre che raramente originale, spesso e (mal)volentieri alquanto superficiale (altro che sospensione dell’incredulità; in certi casi bisogna proprio sforzarsi di cacciare la logica nell’anticamera dell’emisfero sinistro del cervello). Ad essere sinceri, il fattore “riciclo” (non può che essere condivisa la tesi dell’omaggio al mentore-finanziatore Spielberg), preserva intatto il pregio del taglio simil-celebrativo del film, ma solo nella sua prima parte (quella in cui le più o meno latenti pulsioni dei ragazzini si sviluppano e prendono gradualmente forma per inneggiare alla fanciullezza di un tempo che fu). Quanto segue dopo (ovvero quando Abrams vira verso toni da fantascienza spiccia), invece, pur continuando a manifestarsi quale puro déjà vu narrativo, non emoziona più. La forza di inerzia che segue il buon incipit instilla la curiosità necessaria e sufficiente a convincerci ad attendere la conclusione del film (degnamente coronata dal corto che accompagna i titoli di coda) prima di dedicarsi ad altro (c’è, peraltro, un mostro “brutto e cattivo” da ricacciare nel cyber-spazio), ma non ci si aspetti la magia di E.T., l’avventura dei Goonies o la poesia di Stand by me. Alle nuove generazioni (di spettatori) basta poco (mentre alle vecchie ci pensa il potere taumaturgico del ricordo).
J.J. Abraams ostenta, di sicuro, vera riconoscenza, ma, in fondo, lui sa per primo di non poter  trovare la propria strada entro i ristretti confini di questa terra. 
Fortuna vuole che a rimanere ben radicata a questa terra sia, piuttosto, la bella musica di Michael Giacchino (che tanto ricorda l’amato Williams).

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