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Pina

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Pina

di giancarlo visitilli
8 stelle

La lievità della vita. La pienezza e la consistenza della poesia, fattasi corpo, azione e movimento. La reinvenzione del tempo e dello spazio. Tutto questo è il bellissimo documentario di Wim Wenders, dedicato alla sua amica di decenni, Pina Bausch.

Stessa origine, Wenders/Bausch, insieme volevano realizzare un film sulla danza, un progetto a cui avevano cominciato a lavorare dalla metà degli anni Ottanta. Eppure, Wenders era convinto che a causa dell’insufficienza dei mezzi tecnici disponibili, inadeguati a rendere su pellicola la complessità del Tanztheater di Pina Bausch, non potesse realizzarsi tale idea.

La morte improvvisa della Bausch, scomparsa il 3 giugno 2009, proprio durante le riprese del film, ha permesso a noi di visitare, solo in parte, quel grandioso e prezioso scrigno, costituito dalla collezione dei suoi lavori. Ma il film di Wenders è anche, anzi soprattutto, un sincero omaggio all'amica e all'artista per cui nutriva un'enorme ammirazione.

Molte le testimonianze degli artisti che hanno lavorato (è dir poco!), vissuto con Pina Bausch. Amica/nemica, artista, assolutamente enigmatica, discreta e visionaria, sempre alla ricerca di qualche forma, appunto forma nell’accezione letterale del termine, di libertà. E la libertà, lei e i suoi danzatori, se la conquistavano sul palco, fra le lande, ora nei boschi e sui dirupi, poi fra una pozza di acqua e un grande sasso: tutto messo a disposizione della reinvenzione del tempo e dello spazio. Sconfinato e poi claustrofobico, inevitabilmente abitato da corpi, la cui nudità è quanto vi può essere di meno accessibile allo sguardo.

Tutto ciò nel contesto delle stagioni e, quindi, dello scandagliarsi del tempo, inteso come una sorta di dolente accettazione dell’età, che lascia il dolore di una perdita incolmabile, come lo è ancora per il mondo della danza e del teatro, ma è vero anche nelle nostre vite di ogni giorno.

E allora sarebbe utile seguire il consiglio della stessa Pina: “devi essere più folle”. Follia come capacità di saper osare e credere in sé stessi, se queste son state le uniche parole pronunciate in vent’anni nei confronti di qualche suo ballerino. Perché la Bausch parlava attraverso il linguaggio dei gesti e dei silenzi. I suoi compagni di danza, ora interrogati sulle loro stesse vite, poi erano chiamati a (ri)scrivere con il corpo, il vuoto e la nudità.

Il connubio Wenders/Bausch, funziona, perché entrambi sanno gestire, plasmandola, una materia, fatta di assoluta immaterialità, pura emozione ed energia. Rottura delle regole come premessa dell’invenzione. Lo straordinario lavoro del regista tedesco emoziona. Ci si eleva attraverso il viaggio dell’arte, per riscoprire la caducità di un peso, quello proprio della vita. Ch’è sempre tale, soprattutto per chi rimane. Orfano, di cotanta grandezza.

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