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La pelle che abito

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su La pelle che abito

di alan smithee
8 stelle

Toledo 2012: un affascinante chirurgo comunica ad un congresso medico di essere riuscito a creare una pelle artificiale molto resistente ed in grado di garantire applicazioni sul genere umano e debellare malattie come la malaria in quanto repellente all'azione degli insetti; in realta' la sua invenzione e' servita a scopi ben piu' personali che evitero' di rivelare. Toledo 2006: ad un matrimonio ricco e fastoso la giovane figlia del chirurgo conosce un ragazzo che, in preda ad ebbrezza da stupefacenti, abusa della ragazza portandola alla pazzia e poco dopo al suicidio.
Tra un prossimo futuro e un passato recente, si sviluppa la nuova intrigante prova del maestro spagnolo, che cambia decisamente genere rispetto alle ultime produzioni. Non fa un horror, come superficialmente annunciato da certa stampa, bensi' un fosco, ambiguo e sanguinolento melodramma che sarebbe piaciuto a Cronemberg; una storia intricatissima (alla fine completamente esplicitata in ogni sfaccettatura grazie ad un abile seppur non nuovo ping pong tra le due epoche, anticipando gli effetti e spiegando successivamente la causa) in cui pero' il regista riesce a driblare abilmente situazioni al limite dell'inverosimile e del ridicolo, mantenendo una suspence e una presa nello spettatore degne di un celebrato maestro del noir. Come dicevo rivelare la trama sarebbe un delitto impedonabile per cui non aggiungo nulla piu' della vicenda, se non che a complicare la storia subentrano una domestica che non e' solo una serva (una grandissima Marisa Paredes, a mio parere la miglior attrice spagnola degli ultimi decenni, una delle poche interpreti che recita con un'intensita' di sguardo e occhi spalancati degni della piu' classica tradizione del cinema muto, ma senza mai risultare sopra le righe o meno credibile), un balordo mascherato da tigre che non e' solo un figlio, una moglie deceduta da anni in odore di tradimento, una paziente-cavia che e' anche qualcos'altro.
Pochi altri registi avrebbero saputo tenere le fila della fitta trama senza scadere nel ridicolo, e Almodovar rischia di scivolare in diverse occasioni per riprendersi poi alla grande.
Piu' che Douglas Sirk (anche se la vicenda cosi' eccessiva ricorda per certi versi le rocambolesche ed impossibili peripezie del celebre "Magnifica ossessione"), ho trovato molte affinita' con il bel film di George Franju "Occhi senza volto" del '60. Non ho letto nulla al riguardo, ma trovo impensabile che Almodovar non abbia, almeno in parte, se non voluto ispirarsi quanto meno desiderato omaggiare quel fosco e al tempo stesso delicato film horror francese, la cui trama ricorda per molti aspetti questo bel film. Si perche' in entrambi e' l'amore per la propria famiglia e il dolore della perdita che generano mostri e atrocita' indicibili.
Almodovar, dopo un lieve appannamento nel suo ultimo non pienamente convincente Gli abbracci spezzati, torna alla sua forma migliore, ma con un film per lui inconsueto. Cambiare genere e stile e' sempre un rischio e farlo con un'opera forte e intensa come questa e' un atto di coraggio pari solo al suo encomiabile rifiuto a vendersi agli Studios hollywoodiani, che da oltre un trentennio lo corteggiano invano.

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