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Nostalgia della luce

Regia di Patricio Guzmán vedi scheda film

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La recensione su Nostalgia della luce

di alan smithee
9 stelle

Il deserto affascinante ma invivibile di Atacama viene utilizzato come base d'appoggio per studi di natura astronomica; ma è stato anche teatro di efferati occultamenti di cadaveri durante la repressione ad opera della dittatura di Pinochet. Il gran documentarista Patricio Guzman ci offre una acuta riflessione su un territorio magico e impossibile.

L’immenso deserto cileno di Atacama, è l’unico punto di colore marroncino che appare guardando il pianeta Terra dalle sonde spaziali e dai satelliti che ci girano attorno.

Un angolo del pianeta affascinante quanto inospitale, attraente quanto impossibile a garantire la vita: di fronte a queste implacabili ma anche affascinanti incongruenze, la zona è stata utilizzata per scopi molteplici ed anche in questo caso davvero eterogenei, nel bene e nel male, rispecchiando appieno le tendenze e le caratteristiche della personalità della razza umana. Oggi in questa immensa vastità proseguono gli studi di brillanti astronomi che da anni hanno poggiato ivi le basi per la ricerca e lo studio dei fenomeni dell’Universo: Il buio totale e la generale nitidezza dell’atmosfera, garantisce visioni eccezionali già ad occhio nudo, che diventano perfette attraverso le sofisticate apparecchiature ottiche dei laboratori specializzati.

Ma quell’arido ed affascinante deserto, è stato pure teatro dell’occultamento di centinaia di migliaia di cadaveri di dissidenti del regime dittatoriale di Pinochet: madri e padri di famiglia, strappati alle loro famiglie, eliminati in modo barbaro, anzi giustiziati e mandati a perdere o in mare aperto, o tra le vastità di questo deserto. Gettati da aerei già deceduti o in certi casi ancora vivi ma addormentati. Ancora oggi e dopo decenni, persone che non riescono ad accettare l’idea della scomparsa dei propri cari senza potersi almeno aggrappare alla flebile speranza di potersi rifare su un corpo, o anche solo parte di esso, percorrono miglia sotto il sole alla ricerca di frammenti di quelli che potrebbero essere i resti dei propri cari svaniti nel nulla.

 Patricio Guzman, meraviglioso documentarista di cui ho apprezzato recentemente La memoria dell’acqua (uscito i mesi scorsi nelle sale francesi), ha stordito il Festival di Cannes nel 2010 (ove il film fu presentato come Evento speciale) con questo eccezionale e toccante documentario in cui le immagini abbacinanti e quasi stordenti della perfezione complessa e coreografica del creato si alternano in modo dirompente con le drammatiche documentazioni di ciò che resta della follia persecutrice dell’uomo, si impreziosiscono di testimonianze vere, da parte di umanità e personaggi in qualche modo coinvolti in almeno uno degli argomenti trattati, fino a maturare una drammatica riflessione da parte di un astronomo che riflette a come sia diverso il suo isolamento, deliberato e rivolto ad un interesse professionale e scientifico, con quello di tutte le persone (molte donne tra di essi) che vagano instancabilmente in mezzo a quelle affascinanti lande senza forma di vita, alla ricerca instancabile di anche un solo minimo indizio che le possa far tornare a dormire non certo con serenità, ma almeno con la rassegnazione di esser riusciti a trovare almeno un piccolo appiglio su cui e per cui poter piangere.

Il brivido della perfezione “divina” del creato si unisce qui magicamente, oltre drammaticamente, a quello dell’orrore tutto “terreno”, meschino ed ingiustificato che contraddistingue l’uomo ogni qual volta egli si lascia prendere da progetti scellerati ed incontrollati che si rifiutano di preservare e garantire la salvaguardia dei diritti umani pur di rincorrere e cavalcare folli ideali personali che nulla hanno a che fare con il bene e la prosperità della nostra esistenza sul pianeta.   

 

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