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Manuale d'amore 3

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Manuale d'amore 3

di LorCio
5 stelle

Terza puntata del Manuale d’amore con cui Giovanni Veronesi ed Ugo Chiti (e Aurelio De Laurentiis) hanno trovato una gallina dalle uova d’oro che fa buon brodo in tutte le stagioni: basta condirlo con un saporito gruppo di commedianti celebri, una bella canzone in colonna sonora (qui c’è Altrove di Morgan, ma attenzione pure a Follia d’amore di Raphael Gualazzi) e con quel tema d’inesauribile ispirazione che è l’amore. Questa volta il gruppo di episodi si riduce da quattro a tre, ma la sostanza non cambia, e ogni cosa è in linea con i precedenti film. Probabilmente, a conti fatti, tutte le puntate andranno lette in un corpus unico, come un grande ed unico filmone, nonostante i labili intrecci che legano le varie storie. Se nel primo la struttura era a catena, nel secondo la voce del dj Claudio Bisio fungeva da fil rouge, qui c’è il fragile personaggio del tassista Cupido del sacrificantissimo Emanuele Propizio a far da, tutto sommato, inutile collante alle tre avventure sentimentali. Pur non aggiungendo niente a nessun componente del cast, regista compreso, questo terzo opus della saga (tendente all’infinito) è perfettamente inserito nel suo genere (il cinepanettone intellettuale tardo invernale), risponde ai cardini della commedia alla Veronesi (che è un figlio illegittimo della commedia all’italiana che ha fatto sbornia di camomilla restando comunque un abile mestierante senza manie di protagonismo e con cognizione di causa) e si lascia vedere con la simpatica leggerezza a cui i manuali ci hanno abituato.

 

Di livello pressoché simile tutti i segmenti: una nota ad un bravo Riccardo Scamarcio che si sta lentamente liberando delle etichette che gli hanno appiccicato per anni (protagonista del primo capitolo, racconto di formazione tutt’altro che precoce ma liberatoria, ambientato nell’idilliaca e cazzeggiatrice Castiglione della Pescaia – in cui c’è perfino Vauro come bischero!). Carlo Verdone è una delle poche sicurezze del nostro cinema ed è sempre una goduria vederlo in scena, nel secondo capitolo, dedicato alla tragedia dell’uomo ridicolo (con parrucchino) perseguitato dalla maniaca Donatella Finocchiaro (rivelazione nella commedia) che gli stravolge la vita (occhio ai caratteristi: il grande Paolo Ferrari e Lella Costa). A nobilitare il tutto c’è l’incredibile presenza di Robert De Niro nel terzo ed ultimo episodio, alle prese con un ruolo non scontato (scontata Monica Bellucci, invece, a cui si continuano a dare ingiustamente ruoli che sono corpi e non personaggi, stavolta figlio del verace portiere Michele Placido) e con qualche metafora di troppo da alleviare (il trapianto di cuore): non è roba da tutti i giorni vederlo con delle buste della spesa passeggiare nelle assolate e desolate vie della Roma estiva o inscenare una corsetta per farsi lo splendido con la Bellucci. Più che altro, è straniante. Poi scaraventa un pugno in faccia a Daniele Pecci e giù gli applausi.

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