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Vento di primavera

Regia di Roselyne Bosch vedi scheda film

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La recensione su Vento di primavera

di OGM
8 stelle

Raccontare, con partecipazione, ma senza sentimentalismi, e con accuratezza, ma senza pretese documentaristiche, è la formula ideale per far arrivare la verità storica alla gente; è la ricetta della narrativa che esprime un giudizio morale attraverso i fatti accaduti e le emozioni di chi li ha vissuti sulla propria pelle. Anche se i personaggi e le situazioni individuali sono inventati, la realtà emerge comunque, attraverso la creatività di chi immagina e racconta, portando in superficie, sottoforma di circostanze emblematiche, le conclusioni razionali e le reazioni istintive che, nello studio della cronaca, si sono sedimentate in fondo alla sua anima. In questo modo la rielaborazione scenica di un fenomeno atroce, come quello del genocidio, viene a parlare un linguaggio chiaro e semplice, sincero, e mai banale. Il piglio autoriale, coraggiosamente immerso nel registro televisivo, dà allora vita ad una miscela saporita ma alla portata di tutti, com’è giusto che sia un’opera artistica destinata a trasmettere un universale grido di dolore ed un messaggio di assoluta ed eterna condanna.

Il film di Roselyne Bosch ripercorre, attraverso le esistenze di alcune famiglie, di un medico e di un infermiera, le tappe della deportazione, compiuta nel 1942, di 13.000 ebrei da Parigi ai campi di sterminio situati in territorio polacco: un’operazione che, come il film evidenzia oltre ogni possibilità di dubbio, fu effettuata con la complicità consapevole ed attiva del governo di Vichy, che mise a disposizione documenti, uomini e mezzi.  Migliaia di vite umane, di uomini, donne e bambini, furono barattate dal primo ministro del maresciallo Pétain con la promessa, da parte delle forze di occupazione tedesche, di ripristinare l’autorità della polizia francese. L’accordo prevedeva la consegna di 24.000 ebrei residenti nella regione di Parigi, ma, grazie alla massiccia controffensiva organizzata, in maniera clandestina e capillare, dalla popolazione, quasi la metà di essi riuscirono a fuggire o a nascondersi. Il film ci spiega come tutto ciò avvenne: le  persone catturate  nel rastrellamento furono costrette a compiere un lungo e  straziante percorso, che le vide prima ammassate per giorni, senza cibo né acqua, sulla gradinate Vél d’Hiv, il velodromo coperto della capitale, quindi trasferite in treno in un rudimentale campo di prigionia, tra baracche maleodoranti, scarsità di viveri e pessime condizioni igieniche, e, infine, caricate sui vagoni merci in direzione di Auschwitz, con le donne divise dagli uomini, le madri separate dai loro figli. Nessuno dei 4501 bambini tornerà mai indietro, e, tra gli adulti, solo 25 si salveranno. La straziante gradualità di questo fatale itinerario è il punto di forza di quest’opera, che interpreta la consegna del realismo (che è certamente d’obbligo nel caso della particolare tematica affrontata) come l’impegno a sfatare l’idea dell’Olocausto come un delitto perpetrato, dai soli nazisti, in maniera diretta, immediata e nascosta: Vento di primavera ci mostra, invece, quanto i contorni della vicenda siano sfumati, rendendo esteso e complesso il quadro delle responsabilità, e drammatica ed angosciante la progressiva presa di coscienza, da parte delle vittime, del crudele ed infausto destino che le attendeva.  

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