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Henry

Regia di Alessandro Piva vedi scheda film

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La recensione su Henry

di alan smithee
8 stelle

Henry piace a molti, ma se lo vuoi te lo devi guadagnare…Henry contribuisce ad arricchire una gang organizzata di neri stabilitisi nel quartiere popolare di una capitale romana qui insolita, cupa e grigia come troppe anonime periferie di citta' del nord… Henry, se lo conosci, e’ facile che non potrai piu’ fare a meno di lui, e che sarai disposto a correre rischi impensabili per potertene riappropriare….Henry e’ una soluzione effimera e posticcia di chi si accontenta anche solo di pochi attimi di quel torpore seducente che ti cancella per un momento tutte le problematiche nelle quali stai affogando.
Henry e’ nel gergo degli spacciatori neri l’eroina che proviene dai mercati africani, pura e ammaliante, migliore e piu’ a buon prezzo di quella gestita e commercializzata parallelamente dalla malavita locale, che infatti prende di mira gli antagonisti di colore per impossessarsi della merce e del mercato.
Intanto lo sprovveduto giovane Riondino si reca a casa di Spillo, spacciatore di fiducia per accontentare le richieste della sua bella ragazza Crescentini; lo trova morto ammazzato assieme alla madre, proprio un istante prima che la polizia subentri nel luogo del delitto, incastrandolo quasi in flagranza di reato.
Al poliziotto Gioe’ appare subito lampante l’innocenza del ragazzo, ed intuisce che l’intrigo e’ ben piu’ complesso da districare, che la lotta tra clan rivali e’ giunta’ all’apice e non sembra piu’ procrastinabile.
Bel noir italiano, teso e molto ben calato nel contesto di una realta’ metropolitana che sopravvive di clandestinita’ e sopraffazione. A ben vederlo ricorda certi cupi poliziotteschi anni ’70, aggiornati alla non meno drammatica realta’ dei giorni attuali: un film che, proprio perche’ calato nel pesante contesto attuale, rischiera’ di invecchiare velocemente, ma restera’ nella memoria come un resoconto fedele e non edulcorato di una societa’ che sopravvive delle/sulle insicurezze altrui, sulla sopraffazione e sulla prevaricazione, sul controllo del territorio.
Molti bravi interpreti e caratteristi contribuiscono alla riuscita di questo bel thriller schietto e asciutto: facce peste dal vizio e dalle percosse, volti modificati dalla smorfia malleabile della cattiveria e della disperazione, solo in parte riscattati dalla linearita’ dei visi luminosi di un Gioe’ finalmente dedito al cinema dopo tanta (buona) fiction televisiva e di una Crescentini tosta e angelica al contempo, I soli a farci credere che in fondo, ma proprio in fondo, non siamo poi cosi’ irrimediabilmente brutti e cattivi come si potrebbe pensare. Menziono inoltre volentieri almeno Paolo Sassanelli nel ruolo di un poliziotto dai metodi spicci, grezzo ma sempre propenso ad apprezzare ironicamente le sfumature seducenti che escono dalla bocca del suo commissario Gioe’, piu’ istruito di lui e propenso a riflessioni e deduzioni che il poliziotto vorrebbe uscissero dalla sua bocca tanto compiacciono la sua natura di uomo dell’ordine, conscio della propria irrimediabile, incorreggibile grossolanita' alimentata da una cultura fatta di vita vissuta piu' che di concetti e teoria formativa, ma anche nobilmente pronto al sacrificio di fronte alla salvaguardia del futuro di una famiglia, quella del suo capo, in via di formazione.
Presentato con un certo successo (e un premio) al Torino Film Festival di due anni orsono (dove con grande rammarico l’avevo purtroppo perso), il film di Piva, apprezzato alcuni anni fa col “sospeso” ed originale “Mio cognato”, e’ rimasto in naftalina per un periodo infinito e preoccupante, che ci ha fatto temere per un oblio senza soluzione. Ben venga dunque questa tardiva, effimera ma preziosa uscita in piena stagione, a driblare gli attacchi sproporzionati di giganti piu’ potenti, ma spesso anche piu’ ottusi e insignificanti.

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