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Henry

Regia di Alessandro Piva vedi scheda film

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La recensione su Henry

di OGM
8 stelle

L’umanità non si rottama. Anche quella che sembra più perduta è pur sempre buona per farci delle storie. Alessandro Piva lo sa bene. È dai tempi del suo esordio, con La Capagira, che cerca la poesia nei vagabondaggi senza meta di gente rozza e spietata, o magari ancora sana ed innocente, però vistosamente contaminata da quella brutta cosa che è la vita. Il percorso di Henry è un piccolo girotondo infernale. È una voglia di morte che si mette a ballare per le vie di Roma, inseguendo partite di droga bianca o bruna, uomini dalla pelle chiara o scura, e fermandosi, ogni tanto, ad assistere con gusto al loro smarrimento. La prende alla larga, per arrivare al dunque: strada facendo, le piace posarsi su quel che resta dell’amore, dell’amicizia, dell’onestà, della coerenza. Va raccogliendo i frammenti acuminati di affetti infranti, di legami traditi, accumulando rancori con la stessa smania con cui si collezionano occasioni e colpi di fortuna.  Ogni spunto è valido per far(si) del male, per uccidere un complice, per abbandonare una compagna, per dichiarare il falso, per passare al nemico. Un diabolico ingranaggio macina le debolezze e le esitazioni per trasformarle in polvere di barbarie, che offusca la vista ed inceppa i pensieri. L’azione sembrerebbe ruspante, invece è solo un tritume di disincanto: manca la vivacità dello scherzo, poiché ogni battuta è soltanto una fosca allusione alla peggiore delle ipotesi. Non c’è il tempo di riderci su e prendersi in giro: c’è una missione più urgente da portare a termine, ed è quella di toccare il fondo. Esattamente come in Fight Club, il dvd che Anna non riuscirà mai a vedere; ed è giusto così, non ci si può limitare a fare per finta, standosene comodamente in poltrona a guardare un film.  Bisogna impegnarsi sul serio, per diventare i veri protagonisti dell’incubo, gli artefici degli errori che innescheranno una catastrofe senza ritorno. I viaggiatori delle viscere dell’abiezione, dalle quali si può uscire solo rinati. Naturalmente non ci troviamo nel profondo della provincia americana, siamo nel cuore tiepido della nostra Italia, dove si fa quel che si può. Tutto è relativo, e nessuno pretende l’impossibile. Capita che un poliziotto corrotto si chiami Bellucci e sia un ombroso simpaticone. E che il suo superiore sia un povero eroe per caso, la cui impresa si blocca e riesce solo a metà. Il recupero avviene in extremis, con la visione immaginaria di un bimbo che nasce. Il buio è pieno di buchi, è chiazzato di indecisione. Quello spettro sinistro che punta il dito indicando la fine è, anch’egli, un essere così e così.  Uno che ha il senso dell’irrimediabile, eppure non sa bene dove andare. E dunque semina a vanvera i brandelli della sua maledizione. Raffazzonando quella che, senza inutili ambizioni né ipocriti pudori, è l’anima autentica di un noir sfornato in casa nostra.

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