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Il Grinta

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su Il Grinta

di Malpaso
9 stelle

Il Grinta prende spunto dalla più basilare storia di vendetta per poi attuare una vera e propria demistificazione del genere.

La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.

 

Personalmente non ho mai avuto le idee chiare sui fratelli Coen e sul loro cinema. Ho amato il loro black humor in Fargo, ma non sono mai riuscito ad apprezzare a pieno Il grande Lebowski, a detta di molti uno dei loro apici artistici. Ho amato A proposito di Davis così come ho trovato eccessivamente pesante la loro ultima commedia Ave, Cesare!

 

Questo (apparentemente) inutile esordio ha due ragioni d’essere: anticipare il vuoto che mi trovo davanti ogni volta che mi cimento nell’analisi di un’opera di questi due autori e, principalmente, provare a giustificare il mio colpevole ritardo nel recupero di quel capolavoro qual è Il Grinta. Perché non si può che rimanere impressionati al termine della visione di questa magnifica epopea postmoderna: i fratelli Coen risalgono alle radici del racconto epico americano, che per decenni ha fatto del selvaggio west l’allegoria dei paradossi che caratterizzarono il sorgere della nazione, storie di fuorilegge dalla tecnica leggendaria che della terra delle opportunità facevano ciò che meglio pareva loro. Il Grinta prende spunto dalla più basilare storia di vendetta, ovvero una ragazzina (straordinaria Hailee Steinfeld) assolda un cacciatore di taglie che scovi e giustizi l’assassino del padre, per poi attuare una vera e propria demistificazione del genere.

 

I tre personaggi principali si allontanano dagli stereotipi e prendono vita dall’abile penna dei due autori e, soprattutto, grazie alle caratterizzazioni ispirate degli interpreti: Jeff Bridges aggiunge un altro personaggio iconico al suo curriculum e Matt Damon funziona estremamente bene come spalla. I Coen portano avanti la loro personale poetica “della sconfitta”: che raccontino le assurde vicende di un hippie fuori tempo massimo o le disavventure di un cantautore folk in cerca di contratti, i due registi puntano sempre a tratteggiare la lotta quotidiana dell’essere umano contro i propri vizi e gli inevitabili fallimenti. Questa spiccata tendenza all’antieroismo ben si sposa col tema della vendetta: il viaggio degli eroi si trasforma in percorso di crescita per la giovane protagonista, la quale vedrà i due accompagnatori adulti smontare inconsciamente le immagini gloriose che ella aveva proiettato su di essi, mentre le conseguenze di una scelta che credeva legittima la mette per la prima volta di fronte all’impossibilità di coniugare etica e necessità.

 

Ma ai titoli di coda, ancora prima di qualsivoglia ragionamento, la sensazione che si prova è quella di aver visto un grande film, narrato con mestiere e rispetto della tradizione: l’epica colonna sonora di Carter Burwell accompagna solennemente ogni passaggio di questo capolavoro in cui i Coen, calibrando alla perfezione la grettezza dello stile con l’ironia del dialogo, hanno omaggiato il grande cinema americano sancendone allo stesso tempo il tramonto.

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