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L'illusionista

Regia di Sylvain Chomet vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'illusionista

di Decks
10 stelle

Era il 1956 quando Jacques Tati, scrisse a quattro mani (col suo collaboratore di lunga data Henri Marquet) una sceneggiatura che doveva perlustrare il rapporto tra lui e sua figlia, ma che poi rimase inedita. Chomet 50 anni dopo, rimane colpito da queste stesse pagine, causa anche un rapporto similare con la figlia e decide di farne un lungometraggio animato. Nel 2010 arriva il film perduto di Tati, che esplora i retroscena amari del simpatico regista, mimo, attore e sceneggiatore francese, con un'arte ben curata dall'ammaliante Sylvain Chomet.


Se infatti, ci sono due cose che dai primi minuti di pellicola si può capire sono i seguenti: primo, scordatevi che l'animazione sia rivolta ad un'unica fascia d'età (quella infantile); il lento progredire, l'uso del muto, sono tutti elementi che sottolineano come quest'opera sia matura e rivolta a grandi e solo ai più temerari piccoli. Secondo; graficamente e stilisticamente siamo a livelli che altre poche opere possono vantare di aver raggiunto. La cura dei dettagli quali sfondi, piccoli particolari dei protagonisti, la naturalezza dei movimenti (con un'ottima ricalcatura delle movenze di Tati nel protagonista) sono tutti eseguiti in modo eccellente, tanto che, sembra di ammirare continui splendidi quadri, dotati di un realismo unico. Lo skyline di Edimburgo è così meraviglioso che si rimane a bocca aperta su questa città dai mille colori; le sue tinteggiature e sfumature che variano in base ai sentimenti dei due protagonisti rendono ancor più apprezzabile quest'opera, dove una pioggia lieve o una burrascosa fanno la differenza. A nulla servono le parole, dinanzi alla maestria con cui i delicati contorni si muovono e la perfetta musica (sempre scelta da Chomet) ci accompagna nelle loro vicende. Si adatta alla perfezione a qualsiasi situazione, comica o triste che sia. I suoni, quelli di una città viva, di giovani e insicuri tacchi sul marciapiedi, di un tasto di un'automobile che crea un gustoso siparietto, o quello di un delicato pianoforte che accompagna uno sguardo verso una lettera, sono più potenti e risuonano più fragorosamente di qualsiasi parola.

Un'ottima scelta quella del muto, che fà in modo di immedesimarci ancor più nel protagonista, un'illusionista, ispirato direttamente al Tatischeff che tutti conosciamo, ma che sottolinea allo stesso modo, come questa pratica sia ormai andata perduta, proprio come nel 1959 (anno in cui si svolgono gli eventi del film) mestieri come quello dell'illusionista stiano ormai svanendo a favore di musica rock e pubblicità, con teatri sull'orlo del fallimento, causa persone che non si sorprendono più, per quella genuina semplicità e quella simpatica magia che strappa un sorriso a chiunque.
Chi poteva rimanere ammaliato da simile pratica se non proprio una bambina. Una povera ragazzina, isolata dal mondo in un lontano paese scozzese, che ancora rimane sorpresa da quei trucchi straordinari, che per tutti gli altri sono noiosi e sorpassati, una ragazzina che diventa figlia e nostalgia dei tempi passati, dove un trucco faceva scaturire applausi e non sbadigli, l'ultimo vero motivo per andare avanti. Non ne risente solo quest'uomo di mezz'età, allampanato e raffinato, ma persino i suoi colleghi, un clown depresso, un ventriloquo e degli acrobati. C'è quindi da compiere una scelta, vendersi a questo sistema capitalistico che sfrutta e spreme persino un'arte che dovrebbe essere intoccabile, o precipitare, cadere in un oblio, dimenticando i propri sogni e passioni, perdendo irremediabilmente un pezzo di sé, che può essere un coniglio magico, un pupazzo o la voglia di vivere. Componenti necessari di persone che avevano dato la loro vita in qualcosa di incantevole come stupire e sorprendere, come solo sa fare il teatro.
L'amato protagonista sceglierà di arrendersi al tempo, che ha masticato e distrutto non solo il suo mestiere (in cui non crederà più) ma quella pura giovinezza della ragazzina, che lentamente si discosta da quel mago, che tanto ha amato e creduto veritiero, a favore di adulte esigenze, staccandosi da quel mondo magico che è l'infanzia, con un ultimo taglio netto, che farà scendere una lacrima allo spettatore più duro di cuore.

Chomet dimostra di non essere solo un grande disegnatore, ma un portentoso narratore, un artista sensibile, con quel gusto rétro, sia per le lievi musiche che per lo stile. Un capolavoro del cinema dell'animazione, non solo l'ultimo malinconico atto di Jacques Tati, ma una vera magia di Sylvain Chomet, che meraviglia oltre che la giovane ragazzina qualsiasi pubblico.

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