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Ladri di cadaveri. Burke & Hare

Regia di John Landis vedi scheda film

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La recensione su Ladri di cadaveri. Burke & Hare

di ROTOTOM
8 stelle

La vicenda vera – tranne le cose inventate come dice l’incipit iniziale del film – dei degni compari di trafugatori di salme nell’Edimburgo del 1828, sembra accaduta solo per soddisfare le istanze artistiche di John Landis. Sessant’anni prima delle gesta immortali di Jack lo Squartatore della Londra vittoriana del 1888, due cialtroni squattrinati Burke & Hare, per ovviare alla penuria di cadaveri necessari allo studio nella prestigiosa accademia di medicina, passarono dall’attendere le esumazioni dei corpi dai cimiteri confidando sui capricci del destino, a volte riottoso a compiere il proprio dovere, a dare una mano al “naturale corso della vita” accelerando il trapasso a miglior vita di ignari concittadini i cui corpi, caldi e fumanti, venivano venduti  in nome della scienza per essere sezionati e studiati. Senza saperlo Burke & Hare sono cosi divenuti i primi serial killer della storia, grazie a loro la medicina ha fatto  grandi progressi nella conoscenza del corpo umano e Landis ha potuto ricavalcare l’onda del buon cinema ripercorrendone le gesta. Lo stesso soggetto è stato sfruttato spesso anche in passato in decine di film horror di cui “La jena” (1945) di Robert Wise con un grandissimo Boris Karloff è l’assoluta punta di eccellenza.
Il film di Landis si apre con un’esecuzione e si chiude con un’esecuzione, una parentesi nera che racchiude una storia di macabra ironia narrata  dal boia ufficiale di Edimburgo che, sguardo in macchina, introduce gli eventi, tira la leva che apre la botola e gestisce l’asta  tra le due istituzioni mediche, l’accademia e la clinica concorrente, entrambe bisognose di membra fresche per avanzare negli studi. Nello sguardo del boia, colpevole di fatto e innocente per legge c’è tutta la filosofia del regista per il grande sberleffo della vita, la quale comprende inevitabilmente anche la morte.  Landis  muove le sue pedine nei budelli crassi di Edimburgo alla ricerca di una verità che sovente attecchisce nell’humus degli strati più sordidi e poveri della collettività. Il progresso è sempre a scapito di pochi poveracci che ne subiscono le conseguenze dirette ma che faranno il bene della società futura, la quale li dimenticherà in un batter di ciglia come cavie da esperimento. Burke & Hare scalano i gradi della società grazie agli omicidi, quella  società che sospende il giudizio in tacito accordo poiché le conviene è la stessa che li condanna senza processo autoassolvendosi in virtù di più grandi ideali. Tutto questo girato con il piglio divertito e disincantato di uno che la sa lunga. Impettiti dignitari, autoritari studiosi , cocciuti miliziani della polizia scozzese si mischiano fondendo le caratteristiche con ladri e imbroglioni, assassini,  prostitute appianando ogni differenza alla faccia dello status. Nessuno è migliore di un altro, solo il reddito è il padre confessore che assolve e eleva lo sguardo oltre il fango.
Mors tua, vita mea. La pudibonda casalinga moglie di Burke si trasforma in virago affamata di sesso nel momento del successo del marito che porta a casa i soldi, anche se sporcati da efferati omicidi. Sensazionale e landiana a tutti gli effetti la scena del coito selvaggio tra i due coniugi durante il quale lei progetta il futuro inventando le Onoranze Funebri e raggiungendo solo a quel punto l’orgasmo, o come dicono i francesi, per restare in tema, la petite morte. Amore  e Morte si rincorrono  divenendo l’uno la catarsi dell’altro in un trionfo di umorismo nerissimo  politicamente scorretto, libero come ai bei tempi del Landis più in auge.  Film di corpi smembrati e sezionati, di schizzi di sangue e frattaglie,   grottesco e visivamente eccessivo quanto sottile nei rimandi e nei sottotesti con  la leggerezza del tocco in regia che in ogni caso stempera ogni bruttura. La convincente ricostruzione storica santifica una messa in scena perfetta, sospesa tra il gotico delle ombre dei mostri classici, il caldo del teatro che mette in scena la tragedia shakespeariana del Macbeth replicando il grand guignol dei due protagonisti e la chirurgica  determinazione del mondo accademico disposta a passare sopra a tutto pur di primeggiare ed evolversi. Se il corpo è la materia essenziale del film, le facce ne sono l’anima. Landis ricorre ad una schiera di caratteristi tutti perfettamente confusi tra parti primarie e  secondarie. Andy Serkis ha la recitazione fisica e plastica di chi è abituato a farsi capire senza apparire, era il corpo di Gollum della trilogia de Il signore degli anelli (2001-02-03) o di King Kong (2005) ricoperto da vestiti digitali, entrambi i film di Peter Jackson. Simon Pegg ex eroe scemo de La notte dei morti dementi ( 2004) di Ed Wright ha la faccia pulita e stupida del  colpevole.  E poi altri eroi della commedia nera, Tim Curry indimenticato Frank'n'furter di The Rocky Horror Picture Show (1975), Christopher Lee e – udite udite – il genio della stop motion degli anni ‘50, colui che ha dato corpo e sostanza alle fantasie dei film d’avventura, fatte di mostri e scheletri: Ray Harryhausen compare in un brevissimo cammeo. Tutti  convenuti alla corte di un John Landis ritrovato, sornione e ironico come sempre, disilluso ma mai triste. Imperdibile.
 

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