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Ladri di cadaveri. Burke & Hare

Regia di John Landis vedi scheda film

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La recensione su Ladri di cadaveri. Burke & Hare

di spopola
8 stelle

Con questa pellicola che in qualche maniera segna anche una specie di rinascita (e speriamo l’inizio di una seconda “giovinezza” artistica) l’ormai ultrasessantenne (anche se da poco) John Landis di  Chicago, regista che una volta era di culto, è tornato a girare  di nuovo nel Regno Unito (circostanza che lo ha probabilmente aiutato a ritrovare una vena ispirativa più feconda) a oltre trent’anni di distanza dal suo indimenticato Un lupo mannaro americano a Londra, ritrovando (quasi del tutto) la freschezza inventiva di una volta.

Di lui se ne erano più meno perse le tracce alla fine del millennio terminato da poco più di un decennio, travolto da insuccessi planetari (come il clamoroso flop del sequel di The Blues Brothers che sembrava confermare inesorabilmente il precoce inaridimento della sua creatività  tutta speciale che lo aveva reso uno dei più amati cineasti del periodo a cavallo fra i ’70 e gli ’80 ).

Lo sapevamo ancora in attività anche se quasi del tutto defilato, in sella solo per qualche sporadica apparizione all’interno di alcune serie televisive antologiche come Fear Itself o Masters of Horrors, dove, come molti dei tanti colleghi importanti  della sua generazione messi prematuramente in naftalina, aveva tentato di coagulare ma senza troppa fortuna, gli interessi primari (e le ossessioni) del suo cinema. La sua parabola sul grande schermo sembrava comunque essere ormai  definitivamente (e tristemente) conclusa.

Se si è potuto invece finalmente riproporre per darci la conferma della sua “ripresa”, non è stato però per un ripensamento degli studios hollywoodiani, che evidentemente non hanno più fiducia nel suo nome, ma bensì grazie a una serie di fortunate circostanze produttive che l’hanno portato quasi inaspettatamente a poter girare di nuovo un film finanziato con capitali inglesi, nei mitici studi della Ealing, culla e fucina del miglior cinema anglosassone degli anni ’50 e ’60.

La storia che è stato chiamato a realizzare per il grande schermo è nota (conosciutissima  soprattutto in Inghilterra) e si riferisce a un fatto realmente accaduto a Edimburgo quasi 200 anni fa, e più esattamente  dal novembre del 1827 al 31 ottobre del 1828, periodo in cui William Burke e William Hare (alla fine aiutati anche dalla moglie di Hare, Margaret Laird e dall’amante di Burke, Helen McDougal)  commisero ben 17 efferati omicidi  per fornire al chirurgo Robert Knos (ovviamente dietro lauto compenso) cadaveri freschi da dissezionare in nome del “progresso della scienza”, seminando così il terrore con questa interminabile serie di fattacci, per la quale il tandem omicida finì per diventare per Edimburgo qualcosa di molto simile a ciò che rappresentarono per Londra le truci gesta di Jack lo Squartatore.

Immagino che il soggetto sia risultato da subito particolarmente appetibile per Landis, considerando proprio il formidabile mix di horror e demenzialità perfettamente miscelati che conteneva dentro,  che costituiva anche una imperdibile occasione di quelle da “acchiappare al volo” che gli consentiva non solo di provare a tornare sulla cresta dell’onda, ma anche di rendere un personale e sentito omaggio alla black comedy britannica che vanta una invidiabile tradizione “qualitativa” di gran classe e spessore con titoli importanti e celebrati fra il macabro e il grottesco, come La signora omicidi , una delle pellicole che più di altre ha fatto storia.

Il tema dei ladri di cadaveri diventati tali “per finalità scientifiche”, era per altro già stato sfruttato anche da Hollywood in anni ormai lontani (La iena di Wise, conosciuto anche come L’uomo di mezzanotte, certamente ispirato dalla stessa fonte, aveva un soggetto abbastanza analogo anche se sviluppato con differente ottica) che l’ironica causticità di Landis ci ripropone adesso in ben altra salsa, aggiungendo un ulteriore tassello alla diffusione delle gesta di questo famoso duo di assassini che come si è visto, hanno sollecitato più di una rilettura (anche interpretativa) sia per il palcoscenico che per il grande schermo.

Ed è così che abbiamo ritrovato un Landis finalmente (e fortunatamente) rigenerato dalla trasferta nel vecchio continente che gi ha consentito di poter contare sul contributo “speciale”  di due ottimi attori per interpretare i due assassini seriali, il comico Simon Pegg (Burke) e il “Gollum” Andy Serkis (Hare), perché con quest’opera il regista rinverdisce davvero la  propria fama di una volta, e lo fa con stile e maestria, pigiando soprattutto il piede sul pedale del divertimento, realizzando così una pellicola che ci fa ridere e sorridere, malgrado le ferali venature grandguignolesche delle vicende, trattate comunque con ironica souplesse.

Il regista osserva ma ovviamente non giudica i suoi protagonisti, e soprattutto si guarda bene dal fare della vicenda un trattato sociologico, pur se l’ambientazione è rispettata con straordinaria aderenza anche formale. Mette subito le mani avanti anche per le licenze che si è preso nella messa in scena: il cartello iniziale precisa infatti con un pizzico di perfida irriverenza, che la storia è vera “tranne però per le parti che non lo sono”  il che gli consente libertà assoluta di movimento e una conseguente, apprezzabilissima autonomia nello sbizzarrirsi della fantasia che qui è fecondo e raggiunge spesso esiti decisamente felici e coinvolgenti.

Il ritratto che ne viene fuori, dentro una cornice da commedia al vetriolo percorsa da una sottile linea rosso sangue, definisce infatti con tratti abbastanza marcati, ma tutt’altro che grossolani, il profilo di due proletari diventati assassini non solo per necessità (la fame), ma anche per caso, e il divertimento intelligente è assicurato.

La partita che si gioca sullo schermo è particolarmente complessa e articolata, con momenti splatter e punizioni gore, ma la tabella di marcia privilegiata è quella - come si suol dire - dell’irriverenza, fra frizzi e lazzi invero un po’ macabri, così che più che mandare al creatore un numero sempre crescente di persone, Burke e Hare fanno spesso sorridere (e a volte persino sbellicare dalle risate) il pubblico presente in sala  (purtroppo tutt’altro che numeroso, almeno qui in Italia) con quell’intelligente, speciale humour anglo-americano che non ha rivali, tipico del Landis migliore.

Insomma una commedia crudele, che esalta le prove degli attori, ma senza regalare loro troppa introspezione psicologica, e non lesina nemmeno sui sottotesti e le differenti, possibili chiavi di lettura, se qualcuno avesse voglia di proporle (visto che ci sono anche quelle), perché l’ironia che trasuda a piene mani, è tutta metacinematografica, mentre il progresso scientifico è messo in buona parte alla berlina, e se scampa il patibolo, si trova comunque ben piantato sul banco degli imputati, con un capo di accusa decisamente poco edificante, e una domanda  che non ha risposta:  “Il “nobile fine”, può davvero giustificare qualsiasi mezzo che si mette in pratica per raggiungerlo?”

Tranquilli, però, perchè se il substrato ideologico è pure in buona parte sovversivo e tale da  meritare persino qualche affondo ermeneutico (passatemi il termine un po’ altisonante), disseppellirlo completamente per farlo emergere come priorità assoluta, diventerebbe invero un reato da pena capitale.

Il monito viene dallo stesso Landis (ce lo precisa Federico Pontiggia), che promette laconico: “Quello che vedi è quello che hai”, e invita poi a fermarsi qui senza andare oltre, gustando il film  senza troppe  esfoliazioni o elucubrazioni  cervellotiche tipo quelle che cercano a volte di impostare a tutti i costi persino un dibattito senza senso sul “sesso degli angeli” (ce ne sono esempi a iosa anche su questo sito).

Prendiamolo così  per quel che è  beandosi di ciò che offre allora, visto che “Horror e commedia non vincono premi, perché i critici sono presuntuosi”. Questo giudizio un tantino lapidario dello stesso Landis, non è (solo) prova di modestia comunque, ma bensì una riflessione ragionata di  assoluta concretezza, visto che Burke & Hare non è probabilmente un capolavoro (e non ci tiene neanche ad esserlo) e si accontenta semmai di intrattenere e di divertire (e per fortuna non è costretto a fare nemmeno eccessivi sforzi per centrare questo risultato).

Che dire allora? Che il crimine paga, almeno su questi schermi. E se uno dei due antieroi dovrà alla fine rimanere appeso al cappio dell’impiccagione come la Storia vuole, l’ultima parola è comunque ancora e sempre per il sentimento: “Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore”. Che la cosa  valga anche per Landis? A giudicare dal risultato, sembrerebbe proprio che sia così, ed è davvero una fortuna che gli sia rimasta intatta una così prepotente passione per il cinema “nonostante tutto”.

 

La tradizione tutta landisiana di rimpinguare - con fulminanti quanto inaspettate apparizioni - un cast già in partenza  apprezzabilmente appetibile (anche se di scarso richiamo per il grosso pubblico) con comparsate a sorpresa di uomini di cinema (registi soprattutto) che inserisce fra le pieghe dei suoi lavori,  è rispettata anche questa volta (Ray Harryhausen e Costa-Gavras nella fattispecie). Il contributo più  nostalgico, appassionato e sorprendente è però offerto dal “recupero” di una attrice come Jenny Agutter (già strepitosa, indimenticabile eroina del Lupo mannaro americano a Londra) in un cameo quasi subliminale, ma significativo, che apre il cuore alla nostalgia.

Rispetto ai tempi d’oro, si avverte comunque qualche piccolo cenno di stanchezza: gli anni sono passati anche per Landis che  per questo film si adagia soprattutto sull’estro dei suoi interpreti (più Serkis che Pegg devo dire) e sembra non (ri)conoscere le strade intraprese nell’ultimo decennio dalla commedia e dal film comico,  rimanendo così sostanzialmente un po’ “antico” nell’approccio, anche se amministra con sufficiente brio tutto il percorso narrativo. L’autore sembra però più interessato a ricostruire  – con la complicità oggi come in passato della moglie costumista Deborah Nadoolman - l’atmosfera di un’epoca con puntigliosa precisione che sa di classicismo, piuttosto che a rinverdire le regole del genere, cosa che invece aveva fatto con assoluta competenza con i prodotti più riusciti di una volta  (oltre che il già citato Blues Brothers, vanno visti in quest’ottica anche Animal House, Una poltrona per due e Tutto in una notte). Ha un po’ meno follia e irriverenza di allora insomma, gli manca la ribalderia costante dei suoi tempi migliori, anche se il pingue borghese che tira le cuoia alla vista dei due proletari assassini che agitano una falce e un martello, rimane ancora adesso un bel vedere, e rappresenta un intelligente flash di genialità assoluta.

Il film è stato fotografato da John Mathieson, collaboratore storico di Ridley Scott, e anche questa pellicola come era già accaduto per Barry Lyndon di Kubrick, ha molte scene girate letteralmente a lume di candela, per rendere così più veritiera quell’epoca lontana, che aveva solo le candele per rischiarare un poco la penombra oscura della sera.

 

Note biografiche di Luigi Cacicco (trovate su internet) sulla vera storia di Burke e Kare:



William Burke nacque nel 1792 a Orrey nella contea di Tyrone in Irlanda. Figlio di un contadino, lavorò malvolentieri per un certo periodo a fianco al padre fino a quando si arruolò nell'esercito, dove prestò servizio per sette anni.
Finita la leva, partì per la Scozia e iniziò a vagabondare fino a quando trovò un lavoro come tessitore nella cittadina di Peebles; dopo neanche due anni si fece assumere in una panetteria, ma anche questa nuova occupazione non era di suo gradimento e cercò di trovare qualche soddisfazione in più in una bottega da calzolaio, imparando il mestiere di ciabattino.
Burke fece la conoscenza di una donna di nome McDougal e se ne innamorò a prima vista: dopo qualche mese i due decisero di tentare la fortuna insieme trasferendosi ad Edimburgo e stabilendosi in una pensione a basso costo, guadagnandosi da vivere vendendo capi d'abbigliamento vecchi e riparando scope e scarpe, sfruttando in qualche modo uno dei tanti mestieri acquisiti nel tempo.
L'albergo dove pernottava Burke era gestito dalla signora Margaret e dal suo amante William Hare, anche lui per motivi la lavoro emigrato dall'Irlanda.
Entrambi avidi e cinici , i due William strinsero presto una forte amicizia e nell'autunno del 1827 si presentò loro un'occasione che non si fecero sfuggire.
Un pensionato di nome Donald, che alloggiava nella stessa pensione, perì improvvisamente a causa di una malattia e Hare propose a Burke di vendere il cadavere alla scuola di medicina di Edimburgo per la dissezione. All'epoca alle Università era concesso operare solo sui cadaveri senza nome e su quelli dei criminali giustiziati; perciò, data la scarsità di corpi a disposizione, la ricerca di "nuovo materiale" era continua.
Così, prima che arrivasse il carro funebre, i due presero un grosso tronco d'albero e lo misero dentro la bara, mentre il corpo di Donald fu nascosto in una stanza al piano di sopra.
Al calar delle tenebre misero il cadavere dentro ad un sacco e lo portarono al prof. Robert Knox, responsabile della sezione di anatomia: ne ricavarono una piccola somma di denaro sufficiente ad invogliarli a proseguire questa nuova remunerativa "occupazione".
Ben presto i due cominciarono a trafugare dal locale cimitero i cadaveri per poi venderli al prof. Knox, ma non sempre però i corpi ottenuti in questa maniera erano adatti agli scopi didattici: al professor Knox servivano "freschi" e non in avanzato stato di decomposizione; perciò Hare e Burke capirono che l'omicidio sarebbe stato il sistema più sbrigativo di procurasi la "merce" adatta.
Nella pensione gestita da Hare si trovava un cliente di nome Joseph, un uomo che, nonostante l'età avanzata, non aveva alcun tipo di problema di salute.
Ma ormai nella mente perfida di Burke e Hare c'era solamente spazio per i soldi: una sera diedero all'anziano da bere una quantità elevata di alcool facendogli perdere inevitabilmente i sensi, dopodiché lo uccisero soffocandolo, misero il corpo dentro un grosso sacco e lo portarono alla scuola di anatomia, con grande gioia del professore che non si preoccupò neanche di chiedere la provenienza di quel cadavere.
Nel mese di febbraio del 1828, un pensionato di nome Simpson stava rientrando a casa dopo aver intascato i soldi della pensione. L'uomo era stato seguito da Hare che, ingolosito dai soldi, lo avvicinò e gli offrì da bere nella sua pensione.
Il piano diabolico subì un contrattempo perché sia Burke che Hare si addormentarono insieme all'anziano, ma il mattino successivo, quando si svegliarono, il sig. Simpson era ancora sdraiato sul pavimento: Hare non ci pensò due volte, lo prese per il collo e lo strangolò. La sera il corpo fu messo dentro ad una cassa e portato alla scuola.
L'amante di Hare, Margaret, era consapevole degli intrighi del marito e del suo amico, ma anch'essa non era insensibile al denaro facile.
Un giorno la donna vide un anziana che stava passando accanto alla sua pensione, la fece entrare dentro per bere qualcosa e, dopo averla fatta accomodare, le fracassò la testa colpendola da dietro con un bastone. Al suo arrivo, il marito con gradito stupore si vide davanti agli occhi un nuovo cadavere da portare insieme a Burke alla scuola.
Questa volta, quando vide che la testa presentava una grave ferita, Knox chiese spiegazioni allo stesso Hare che rispose che il decesso era dovuto ad una caduta accidentale.
I due assassini fino ad allora non si erano ancora preoccupati di eventuali indagini da parte della polizia, perché per il momento nessun parente o amico si era presentato alla pensione per avere notizie, e anche perché il professore non denunciò mai quei cadaveri.
Il 9 aprile del 1828, due prostitute diciottenni di nome Mary Paterson e Janet Brown andarono in una locanda a bere del whisky prima di iniziare la giornata lavorativa.
Il destino volle che nello stesso locale ci fosse anche Burke, che le invitò alla pensione di Hare per offrendo loro una sostanziosa colazione.
Qualche ora dopo Mary si addormentò sul divano mentre, con grande sorpresa di Burke, Janet stava reggendo bene diversi bicchieri di alcolici. Come se non bastasse, entrò improvvisamente nella stanza Helene, l'amante di Burke, che in preda alla gelosia si mise a gridare costringendo Janet ad andarsene.
Nel tardo pomeriggio Janet tornò nuovamente alla pensione per cercare l'amica: Burke le disse che se ne era andata qualche ora prima. In realtà in quel momento il corpo della ragazza stava per essere sezionato nell'istituto di anatomia: il professor Knox riconobbe anche la ragazza, forse perché era stato un suo cliente, ma fece finta di nulla preferendo continuare i suoi studi piuttosto che perdere tempo ponendo qualche domanda a quei due inquietanti signori che lo rifornivano di cadaveri.
Nel mese di maggio del 1828 i due Killer individuarono nella signora Effie un'altra potenziale vittima da consegnare alla scuola e ricavarne dei profitti.
Con la scusante di acquistare da lei dei lacci per scarpe (mestiere che praticava in strada), la invitarono a casa loro per offrirle da bere; Effie li seguì senza preoccuparsi di nulla.
Dopo averle fatto bere quasi una bottiglia intera, la trascinarono nella stalla e la strangolarono.
Circa una settimana dopo Burke e Hare videro due agenti che portavano di peso una mendicante ubriaca. Con naturalezza, avvicinarono i poliziotti e raccontarono che quella donna era una loro conoscente e che ci avrebbero pensato personalmente a riportarla nella sua abitazione. I poliziotti si convinsero e lasciarono l'anziana nelle mani dei due killer: qualche ora dopo, con il collo spezzato, la donna fu messa dentro ad un sacco e portata alla solita scuola.
Nel giugno dello stesso anno, Burke stava passeggiando nella via principale quando un vagabondo gli chiese da bere. Il killer non aspettava altro e invitò l'uomo a seguirlo, con la promessa di una bottiglia intera di whisky. Quel giorno il destino volle però che il mendicante si salvasse la vita: a metà strada una signora con il nipotino chiese un informazione a Burke e la mente demoniaca dell'assassino non si fece sfuggire quell'occasione unica: l'uomo mandò via il mendicante per prendersi "cura" dei nuovi arrivati. Spiegò loro che l'indirizzo che cercavano lo conosceva molto bene e che li avrebbe accompagnati lui, ma che avrebbero fatto meglio a mangiare e bere qualcosa nella sua pensione.
Nell'albergo, Margaret e Helen, portarono il ragazzo in un'altra stanza, mentre la nonna fu fatta accomodare nel salotto e, mentre si accingeva a bere qualcosa, uno dei due uomini le girò completamente la testa spezzandole il collo. Al nipote, che si rifiutò di bere, fu invece fracassata la testa contro lo spigolo del muro. Ormai le due coppie collaboravano attivamente, dando ognuno il proprio contributo.
La stessa sorte toccò alla signora Ostler, che per chiedere un informazione a Burke si ritrovò dentro la pensione degli orrori stesa strangolata sul pavimento e successivamente sul tavolo del solito prof. Knox.
Nell'estate del 1828 Ann, un parente di Helen, decise di farle visita nella sua pensione. La donna, che proveniva da un piccolo paese nei dintorni di Edimburgo, era felice di rivedere la parente dopo tanto tempo, solo che il suo viaggio fu di sola andata.
Mentre si godeva un the con biscotti, Ann fu colpita sulla testa con un bastone da Burke e morì all'istante.
Che fossero semplici conoscenti, sconosciuti o addirittura membri della famiglia per gli assassini non faceva più nessuna differenza: contava solamente intascare più denaro possibile.
La vittima successiva fu una prostituta di nome Mary Haldane, strangolata nella pensione dopo essere stata invitata per la colazione. Nel tardo pomeriggio si presentò alla porta Peggy, la figlia della prostituta, sicura che la madre fosse entrata in quell'albergo. Ci fu una lunga discussione con Margaret e Helen, che continuavano a sostenere di non averla mai vista e alla fine, per non destare i sospetti dei passanti, la ragazza fu invitata a bere qualcosa dallo stesso Burke, che in seguito la mise a tacere per sempre spezzandole il collo e spedendola al laboratorio di Knox con la madre.
Nell'ottobre del 1828, un mendicante di diciotto anni du nome James Wilson incrociò sulla sua strada Hare. Il ragazzo era conosciuto nella zona e disse all'assassino che stava cercando sua madre: Hare gli rispose di seguirlo perché sapeva dove ella si trovava. Portato come di consueto alla pensione, il giovane vagabondo tentò di difendersi da Hare, ma l'intervento di Burke non gli diede  scampo: fu malmenato e poi soffocato.
Quando gli allievi del prof. Knox videro la salma del ragazzo lo riconobbero subito nonostante le varie ferite che aveva sul volto, ma il dottore negò che il corpo appartenesse a James e, senza perder tempo, lo decapitò cancellando l'unica prova per un eventuale riconoscimento da parte della madre, che nel frattempo lo stava disperatamente cercando in tutte le vie di Edimburgo.
Il 31 ottobre del 1828, Burke andò come di consueto nella solita locanda a bere in prima mattinata. Qualche istante dopo il suo arrivo, entrò una donna di nome Mary Docherty, lo stesso cognome della madre di Burke. I due parlarono un po' di questa strana coincidenza e la donna affermò che proveniva da Innisowen, una graziosa cittadina irlandese.
La donna fu poi invitata alla pensione per festeggiare insieme ad altre persone la notte di Halloween,  la notte delle streghe e dei mostri: mai come in questa circostanza Mary ne fu effettivamente circondata accettando di recarsi all'albergo del terrore.
La Docherty fu accolta con grande entusiasmo dai padroni di casa, con loro si trovava anche un'altra coppia di nome Grays. I convitati passarono tutta la serata a ballare e bere poi, quando i Grays se ne andarono via, Mary rimase sola nelle mani degli assassini: fu sbattuta con la testa sul pavimento e infine strangolata.
Mentre Burke e Hare discutevano sul come far sparire il corpo, un anziano che alloggiava nella pensione si mise ad origliare e sentì tutto il discorso. Uscito di corso alla ricerca di un poliziotto, l'anziano dovette abbandonare l'impresa a causa dell'ora tarda (non trovò nemmeno un agente) e tornare alla pensione, dove si chiuse impaurito nella propria stanza.
Il mattino seguente i Grays tornarono alla pensione per salutare Mary, ma Helen disse loro che era stata mandata via perché si era comportata in maniera troppo confidenziale con William, facendola irritare. Appena Burke e Helen si allontanarono dalla stanza, i Grays non lasciarono la pensione ma si misero a cercare un oggetto che la signora aveva perduto la notte precedente: durante questa ricerca trovarono sotto un letto il cadavere di Mary.
Stupita e terrorizzata, la coppia chiese spiegazioni ad Helen che li supplicò di non dire nulla a nessuno, spiegando loro che la donna era stata vittima di un incidente. Naturalmente la coppia non diede credito a quella versione e andò ad avvisare la polizia.
Sia Margaret che Helen si fecero prendere dal panico e uscirono per avvisare Burke e Hare, che stavano bevendo nella locanda vicina.
Il corpo di Mary fu messo dentro ad una cassa di legno e portato frettolosamente alla scuola d'anatomia. Nel frattempo gli agenti giunsero alla pensione e, non trovando nessuno, interrogarono il vicinato trovando infine un testimone che disse di aver visto Burke e Hare, visibilmente agitati, che trasportavano una cassa.
Al loro ritorno, i due trovarono i poliziotti ad attenderli davanti alla pensione e furono condotti in centrale per chiarire tutta la storia.
Posti in quattro stanze diverse, i quattro "protagonisti" della vicenda furono interrogati separatamente, ma, nonostante le dichiarazioni risultassero divergenti fra loro, i quattro continuarono sempre a proteggersi a vicenda.
Nel frattempo, durante un'accurata perquisizione nella pensione, furono trovati degli indumenti di una delle vittime: un altro tassello si aggiunse per confermare l'imputabilità di Burke e Hare.
Con una mossa a sorpresa, il capo ispettore che seguiva le indagini promise a William Hare che se avesse testimoniato contro Burke sarebbe stato un uomo libero: Hare non si lasciò sfuggire quell'occasione e parlò.
Il processo iniziò il 24 dicembre del 1828 e il verdetto fu emesso il giorno successivo: Hare, Helen e Margaret inaspettatamente furono assolti, mentre Burke fu condannato per aver compiuto sedici omicidi e impiccato il 28 gennaio del 1829.
Per quanto riguarda il destino di Helen, le fonti dell'epoca narrano che dopo un breve soggiorno in Inghilterra sia stata costretta ad emigrare in Australia dove morì nel 1868. Margaret invece si trasferì in Irlanda e di lei non si seppe più nulla.
Anche l'avido Prof. Knox, che l'anno prima dell'inizio della nostra storia, nel 1827, aveva avuto tra i suoi studenti anche un giovanissimo Charles Darwin, ritenne opportuno cambiare aria: i suoi stessi allievi lo ritennero implicato nella vicenda, anche se indirettamente, per cui il dottore si fece assumere in un ospedale di Londra dove morì nel 1862. L'Università di Edimburgo, che all'epoca era ritenuta una delle migliori al mondo nel campo della medicina risentì pesantemente dello scandalo.
La sorte di William Hare fu ben diversa, si racconta che stabilitosi a Londra venne accoltellato da un mendicante e gettato dentro ad un pozzo, presumibilmente quel vagabondo lo aveva riconosciuto e aveva deciso di chiudere il cerchio personalmente.

 

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