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Zift

Regia di Javor Gardev vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Zift

di Marcello del Campo
8 stelle

 

ZIFT

 

(Dall’arabo) 1. Resina nera naturale. Asfalto. Usata per ricoprire i manti stradali e

come gomma da masticare.

(gergo) 2. Merda.

 

 

Bulgaria, fine anni Cinquanta: il cittadino Lev Kaludov Zheliazkov sta uscendo dal carcere dopo dodici anni di detenzione. Ha dimenticato il suo nome, ricorda che lì dentro tutti hanno un soprannome, lui è “Falena”. Gli hanno fatto compagnia e lo hanno salvato dalla follia il Candido di Voltaire e il Dizionario delle parole straniere, gli unici testi che il regime comunista, insediatosi con il colpo di stato del 1944, permette di leggere. Bulgaria comunista uguale ‘il migliore dei mondi possibili’.

Vita dura per Falena, per non soccombere ha fatto mole flessioni, mente sana in corpo sano (“Sono lo Zar delle flessioni in prigione. Quand’ero giovane, sono andato a vedere combattere Dan Kolov allo Yunak Stadium. Quelli che non hanno visto combattere Dan Kolov non capiscono niente della vita”).

Ora sta lasciando il carcere di Sofia con un piano in mente, saltare su un treno merci per Varna e dopo fare rotta per i tropici come clandestino in una nave.

Prima di essere rinchiuso nel carcere per un omicidio che non ha commesso, Falena viveva nel malfamato quartiere di Yuchbunar. Ricorda a malapena i suoi genitori. Sa solo che suo padre si arruolò nella legione straniera e scomparve da qualche parte in Africa. Non ha mai capito se lo fece per soldi o perché fosse stufo della famiglia.

Falena ha un figlio e prima che si dilegui, deve andare a visitare la tomba di Leonid che non ha mai visto, il bimbo è nato morto, mentre lui era in prigione.

 

Lo zift emana il suo odore, insinuandosi nelle narici di Falena, chiunque gli si accosti. Puzza di olio per motore, grasso e sudore stantio, il soldato che lo preleva all’uscita. Vita dura anche fuori: Falena deve restituire al suo ex socio un diamante che è scomparso la sera in cui fu ucciso Bijou. Erano in tre quella sera, lui, la sua compagna e il socio.

La caccia al diamante dura gli 85 minuti di un film in bianco e nero che Gardev inzeppa di omaggi a Trainspotting, Pulp Fiction, al noir classico (fa uno strano effetto sentire cantare Gilda in bulgaro).

 

Bianco e nero a 35 millimetri, flashback a 16 segnano il dentro e il fuori. E non è detto che essere prelevato e portato in un sottoscala dei bagni pubblici per signore sia meglio che fare a pugni con Van Wurst, detto l’Occhio, l’amico-nemico di cella. Van Wurst, Occhio di vetro, ha conosciuto il Carcere Ideale, il Panopticon, la prigione circolare (“C’era questa torre d’osservazione al centro e le celle tutte intorno. Niente porte. Non puoi nasconderti. Le guardie vedono tutto. Pan-opticon. L’occhio che vede tutto”).

Esci di galera per entrare nell’inferno della vita. E la vita è tutta racchiusa nella pallina di merda che Falena conserva gelosamente come un’ostia consacrata.

Perché l’inferno del fuori sarà incomparabilmente più insopportabile: l’ex compagna e l’ex socio sono peggio dei mutanti nel panopticon e aspettano solo di fargli la festa.

Zift si muove alla velocità del tempo reale, trama portante, sottotrame, ricordi, si incastrano sì che fare una sinossi è impossibile.

Il film del giovane regista bulgaro Javor Gardev, tratto da un romanzo di Vladislav Todorov, sta ai nostri tempi come La favola della botte ai tempi di Swift.

Zahary Baharov interpreta Falena: le porte di Hollywood si sono aperte per lui.

 

Io la vedo così, compagno PM. Se fosse stato un solo stronzo o due, mi sarebbe venuto da vomitare. Ma due tonnellate e mezzo di merda non riescono nemmeno a farti nauseare”. La questione è semplice: Più merda c’è, minore è il danno. È il danno morale che conta, non quello materiale.” [Incipit di Zift]

 

 

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