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Regia di Danny Boyle vedi scheda film

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maurizio73

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La recensione su 127 ore

di maurizio73
8 stelle

Storia vera di Aron Ralston, ingegnere ventenne e appassionato di trekking, che rimane intrappolato per 5 giorni (127 ore) in un profondo crepaccio di un canyon dello Utah. Con il braccio destro incastrato tra la parete di roccia ed un grosso masso ed a corto di acqua, sopravviverà bevendo le sue urine e riuscendo ad amputarsi il braccio con un coltellino d'acciaio.
Spesso tacciato,a torto, di essere un regista furbetto e sensazionalista (per le tematiche scottanti e lo stile iperdinamico), il britannico Danny Boyle conferma doti e convizioni in questa maratona per la sopravvivenza di un moderno eroe dell'avventura in solitario nello scenario desolato di un deserto di roccia e coyote dell'immaginario cinematografico a stelle e strisce.
Abile nel ricamare ritmo e tensione narrativa (non sempre per stomachi deboli) dall'apparente linearità di un racconto del tipo 'vado,cerco di uccidermi e ritorno' e suggerendo con indiscussa abilità artigianale il rapporto sempre attuale e controverso tra l'uomo e la natura (splendide le location e la fotografia di un'immensa aridità rosseggiante), trova la sua coerente dimensione espressiva nell'alternanza tra la descrizione di una calcolata razionalità della sopravvivenza e la dimensione inconscia dei meccanismi di difesa psichica, una dialettica ta il qui e ora di una insostenibile disperazione e l'altrove di un substrato emotivo da cui attingere motivazioni e determinazione per scelte terribili ma necessarie (bere la pipì come crudele e sarcastico contrappasso di una martellante educazione consumistica tra Coca Cola&co, rinunciare ad una parte di sè come atto necesasario per una sopravvivenza degli affetti passati e futuri, etc.). Giocando sulla continua osmosi tra i vasi comunicanti del conscio e dell'inconscio il regista di Manchester (ma americano d'adozione) ci restituisce il senso tragico ed eroico insieme della dimensione complessiva dell'uomo posto di fronte ai suoi limiti e ad i suoi tabù, laddove il coyote intrappolato (invero facile simbologia solo suggerita dal regista) si stacca istintivamente la zampa a morsi, l'homo sapiens deve attraversare i territori sconfinati e perigliosi di una naturale resistenza emotiva per arrivare alla lucida determinazione di un inevitabile autolesionismo. Questo flusso di coscienza che parte dal tran tran quotidiano delle moderne società dei consumi (illustrato nei siparietti esemplificativi dei titoli di testa e di coda) per arrivare a delineare il destino singolare di una tragica e colpevole casualità individuale è la cifra stilistica di un regista che da sempre rielabora le esperienze sensoriali e psichiche estreme come i sottoprodotti di una lisergica civiltà dell'alienazione (Piccoli omicidi tra amici,Trainspotting) qui declinandola come suggestivo contraltare di un esemplare 'survival drama' (Ballard l'avrebbe chiamato 'inner space'). Film avvincente ed emozionante (a tratti dalla crudezza insostenibile) poggia quasi interamente sull'indiscutibile virtuosismo di Boyle e la efficace presenza scenica di un energico James Franco, concedendosi nel finale ad una accattivante emotività per famiglie.
Sei nomination ai Premi Oscar 2011 ma nessun premio. Prima di uscire avvisate sempre i parenti: può salvarvi la vita!

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