Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Il caos del mondo risucchiato dalla solitudine umana.
Si apre cosi l'ultima fatica di Danny Boyle, bravo come pochi a raccontare quanto la natura può essere pericolosa, torna a rappresentare il suo devastante potere, più che a livello fisico, soprattutto a livello mentale.
Prima fu "The beach" dove intrappola un uomo, Leonardo DiCaprio, su un isola abitata da persone "alienate" e ora è "127 ore" dove un uomo, James Franco, si intrappola in un canyon profondamente isolato.
Le assonanze ci sono, eccome: partenze solitarie, cartine d'avventura, incontri casuali, salti dall'alto in acque criustalline, sofferenza e allucinazioni ma, più di ogni altra cosa, il contatto con la natura che è sempre più potente e opprimente di quanto si posa minimamente immaginare.
Probabilmente, anche Boyle, è vittima di questa oppressione se si sostina a raccontare storie al limite dove il limite è cosi poco marcato da essere irriconoscibile, rendendo difficile, se non impossibile, la constatazione del suo superamento.
Il racconto e meno lungo di quanto il titolo possa suggerire e di quanto, in cuor proprio, si possa sperare. L'intensità è talmente flebile che si percepisce a tratti solo attraverso gli occhi di James Franco con le spalle ancora troppo poco larghe per un assolo puro. Ma capace, almeno lui, di calibrare l'alternarsi di lucidità, fredda e a tratti, sarcastica, ad allucinazioni poco convincenti e troppo presenti tanto da offuscare, troppo spesso, la discreta prova di un attore a metà strada dal podio sacrificale del Tom Hanks di "Cast Away" troppo reale per permetterci un paragine credibile.
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