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Una vita tranquilla

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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La recensione su Una vita tranquilla

di Peppe Comune
7 stelle

Diego (Marco D'Amore) ed Edoardo (Francesco Di Leva) arrivano in Germania dalla Campania per regolare i conti con un importante funzionario di una grossa industria tedesca che con la sua politica aziendale sta intralciando le strategie economiche della camorra sullo smaltimento dei rifiuti. Un imprevisto non calcolato fa slittare di qualche giorno l'esecuzione del piano e i due ragazzi si vedono costretti a soggiornare in Germania. Diego ne approfitta per andare a trovare il padre, Rosario Russo (Toni Servillo), un uomo che a Napoli credono tutti morto e che invece riuscì a scappare in Germania per sfuggire alla vendetta della camorra e salvare se stesso e la sua famiglia da una morte certa. Ora gestisce un albergo ristorante poco fuori la città di Francoforte, vive con la moglie Renate (Julian Kohler) e il figlio Mathias (Leonardo Sprengler), ha amici fidati (Maurizio Donadoni) e conduce un esistenza serena. L'unico vero motivo che lo lega al passato da cui è scappato è la presenza di questo figlio che non ha mai dimenticto e che non vedeva da quanto era ancora ragazzino.

 

 

"Una vita tranquilla" è il secondo film di Claudio Cupellini che dopo lo "sdolcinato" e lineare "Lezioni di cioccolato" cambia decisamente registro passando a questo noir dai colori miti, carico di tensioni latenti e di sfumature "europee". E' la storia di un uomo che credeva di aver anestetizzato il male coi sapori della buona cucina e la rispettabilità sociale guadagnata sul campo e che invece se lo ritrova in corpo come una fiamma che ricomincia a bruciare, che cambia di nuovo prospettiva agli occhi e insinua nella tranquillità del presente i fantasmi di quel passato da cui si è fuggiti e per il quale si è fatta molta strada per cercare di non sentirne più l'odore. La massima aspirazione a cui devono tendere i tipi come Rosario, che nella vita hanno troppe volte provocato dolore per poter reclamare crediti con la vita, è giungere a posare lo sguardo su scenari immacolati, condurre l'esistenza guardando sempre e solo avanti dimendicandosi dell'uomo che si è stati e delle cause che lo hanno prodotto. Per fare questo è necessario ripetersi spesso che la conquista di una nuova vita vale molto di più della tentazione di voltarsi indietro per controllare la stabilità di legami che non si è voluti recidere. Perchè il passato può ricacciarti di nuovo al punto di partenza, farti indossare di nuovo gli abiti che avevi smesso, armare gli occhi di sospetto e le mani di scelte inevitabili. Perchè il passato che ritorna può trasformare la gioia di riabbracciare un figlio con la maledizione di non averlo saputo proteggere con una bugia più grande. Perchè la salvaguardia degli affetti filiali necessità del sacrificio totale della propria originaria identità e di ogni speranza in una vita tranquilla. E allora è possibile solo fuggire, sempre, per evitare che il passato si trasformi in un perenne presente. Claudio Cupellini è bravo a non forzare troppo la mano con il "manierismo criminogeno" e a centrare l'attenzione sul rapporto tra padre e figlio, sul senso di colpa dell'uno e la rabbia repressa dell'altro, sull'affetto che li accomuna e la paternità da tenere segreta. L'assenza di Rosario ha segnato la strada di Diego, lungo la stessa direttiva criminale e incontro allo stesso  tragico destino. Ecco, sono le sfumature che caratterizzano questo tormentato rapporto a rappresentare il pregio migliore del film che, appunto, riflette più sulla natura psicologica della violenza in quanto frutto di un complicato rapporto filiale, che sulla sua evidenza sistemica in quanto legata alla presenza di quella criminalità organizzata che fa da sfondo all'intera vicenda. Ottima la prova di Toni Servillo, a cui si devono una variegata messe di sentimenti interpretati con disarmante disinvoltura e naturale umoralità. Un buon film direi, che dà un pò di ossigeno alla rinsecchita schiera del cosiddetto "cinema di genere" del nostro paese, quello che predilige perlustrare particolari ambiti della vita dell'uomo e che senza troppe pretese autoriali sa dare spesso buoni contributi all'analisi critica sullo stato delle cose. Quello che  un tempo veniva prodotto con pregevole regolarità e che oggi conosce solo occasionali buone visioni.    

 

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