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La passione

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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La recensione su La passione

di mc 5
8 stelle

Non un film comico, come si potrebbe banalmente dedurre dal trailer, ma un'opera che riesce (felicemente) a coniugare la levità con temi profondi che attengono ad intime necessità dell'anima. Il film è piacevolissimo e se lo spettatore si lascia guidare, non faticherà ad immedesimarsi nel protagonista, il cineasta Gianni, e a condividerne serenamente il percorso di crescita e consapevolezza. Ho parlato di "levità" e lo confermo. Mazzacurati ha avuto il dono di saper indagare con invidiabile leggerezza attorno ad un uomo precipitato nel panico, che non fa che dialogare con sè stesso, senza sbocchi. Finchè un giorno decide di guardarsi attorno per accorgersi che in questo piccolo borgo toscano sono già presenti tutti gli elementi di un percorso, tutte le tessere di un mosaico, ciò che lui andava cercando per tentare un approccio diverso e più sereno con la vita. E questo percorso implica (questo è un pò il tema centrale del film) un accostarsi (anche solo per sfiorarlo) al Sacro, al Mistero, alla Spiritualità. Ciò insomma che Gianni, profondamente laico e probabilmente agnostico, non avrebbe mai lontanamente immaginato. E anche il sottoscritto, ancor più laico -se possibile- del protagonista, si è trovato a doversi confrontare con questo senso del Mistero Religioso attraverso un percorso (da spettatore) per lui del tutto inedito. Voglio dire che quelle immagini conclusive che ci mostrano la celebrazione popolare di un antico Rito, non possono lasciare indifferente neppure un non praticante come me, proprio in quanto esse emanano una potenza e una suggestione che sicuramente uno non si aspetta da un'opera che si annuncia come "leggera" se non addirittura "comica". E  il tutto rappresentato in maniera semplice e diretta, senza che nulla di sofisticato od intellettuale trapeli dallo schermo: la prova che posso portare è quella di un pubblico in sala attento e coinvolto. E poi, se vogliamo inquadrare il film in un contesto di produzioni nazionali, dobbiamo rilevare che Mazzacurati dimostra di possedere uno stile suo, personale, che lo distingue dai suoi colleghi contemporanei. Due sono i risvolti principali dell'opera. Quello, preponderante, del rapporto tra l'uomo e il Sacro, come strada per acquisire serenità e consapevolezza. Ma un altro aspetto che si evidenzia è una sorta di indagine, caratterizzata da sarcasmo e da necessità di rinnovata integrità morale, riguardo all'etica di chi lavora come Artista. Emblematico il rapporto tra Gianni e l'attrice e tra Gianni e il suo agente. Un rapporto devastante che procede per accumulo di frustrazione da parte di Gianni, costringendolo ad un sussulto di dignità che farà di lui un'altra persona. I due personaggi cui ho appena accennato, sono tipici portatori di ignoranza ed insensibilità, superficiali ed incapaci d'amare. Certo, l'agente è più appariscente nella propria cafona imbecillità, ma io ho detestato assai di più l'attricetta, un personaggio su cui vorrei soffermarmi un istante. Credo che la "principessa Laurina" sia emblematica del senso di onnipotenza che scaturisce da una forte popolarità mediatica. Lei, quando nel ristorante viene riconosciuta da tutti, fa finta di schernirsi, ma in realtà è proprio su quell'ammirazione che ella costruisce il precario equilibrio della sua personalità (e del suo fragile sistema nervoso). Ne è prova il fatto che appena qualcosa va fuori posto, lei cosa fa? Sbrocca. E qui devo aprire una parentesi dentro la parentesi, per eseguire una standing ovation nei confronti di Cristiana Capotondi (la quale, per inciso, insieme all'altrettanto brava collega Carolina Crescentini sta crescendo film dopo film...). Cristiana, in quella scena "centrale" del dialogo con Gianni al ristorante, offre una di quelle performance d'attrice che mi esaltano. Quel suo (bel) viso inquadrato in primo piano per quasi tutta la sequenza, me lo sono studiato con attenzione. E ho notato la meticolosa perfezione di un'attrice attentissima a come muovere gli occhi, a come accostare le mani alla bocca in segno di apprensione, a come muovere ogni muscolo del volto...insomma mi ha procurato una certa impressione vedere un'attrice così giovane ma così "sciolta" e così "mobile". E voglio scendere ancora di più nel dettaglio (per chi ha visto il film): notate con quale smorfia sublime, reclinando impercettibilmente il capo, Cristiana pronuncia la parola "cameriera", esprimendo con lo sguardo tutto un abisso di disprezzo per una caratterizzazione che lei (nella sua ignoranza di oca vanitosa) giudica inadeguata alla sua "Arte". Ma in questo "piccolo" film alloggiano altre "grandi" prove attoriali. Per esempio quella di Maria Paiato, che interpreta una invadente ed ossessiva matrona che assilla il povero Silvio Orlando. La Paiato è come se ricoprisse due ruoli diversi, tanta è la sua abilità nel trasformarsi, nelle immagini finali, in personaggio doloroso ed intenso, mentre intona un canto sacro sotto la croce cui è inchiodato Gesù, peraltro mostrando un talento vocale sorprendente. Purtroppo non ho visto "Cuore sacro" di Ozpetek che presumo affrontasse temi analoghi, ma da quanto mi è stato riferito quell'opera era nettamente inferiore benchè più ambiziosa. Sono presenti degli inserti, dal sapore vagamente onirico, in cui le due giovani donne del film, speculari ed opposte, viaggiano attraverso l'immaginazione di Gianni: gustosissima la Capotondi incazzata in siparietti surreali e invece romantica da morire Kasia Smutniak con la sua anima in pena. Se proprio vogliamo trovare un difetto al film, va individuato nel forse eccessivo mutamento di rotta tra la prima parte del film e quella (diciamo così) "spirituale" che ci accompagna verso il finale. Un finale molto bello, nella sua incompiuta romantica tristezza, caratterizzato da una incerta apertura alla speranza, in cui la nuova consapevolezza del protagonista coincide col suo (definitivo?) sblocco creativo. Un altro concetto che mi pare di ravvisare nel film è quello del tortuoso rapporto tra pubblico e arte, visto nell'ottica della difficoltà della fruizione popolare: Battiston che viene deriso prima come clown di strada e dopo come Gesù grasso e maldestro, e in particolare quest'ultimo che alla fine del Rito viene abbandonato solo sulla croce mentre la gente comune corre al riparo da una pioggia battente, quasi a testimoniare quanto il pubblico, crudele ed ignorante, sia per definizione inadeguato alla Qualità dell'Arte. Non è il caso di soffermarci troppo qui sulla vicenda, peraltro già ampiamente riportata ovunque, da giornali e tv. In sintesi, un regista in preda a profonda crisi di ispirazione si trova suo malgrado a dover dirigere una sacra rappresentazione, ciò che è lontanissimo dalle sue corde artistiche. Per ritrovare la creatività smarrita (di pari passo con la propria identità perduta), dovrà affrontare un percorso, a lui desueto, che lo porterà a confrontarsi con suggestioni spirituali che genereranno in lui una nuova positività. Come testimoniano quei suoi occhi sbalorditi di fronte al miracolo del momento più intenso della Rappresentazione. E veniamo al cast, di un livello davvero eccellente. Silvio Orlando. Confesso una cosa: io non solo lo apprezzo da sempre, ma ogni volta mi immedesimo in quest'uomo, lo percepisco vicino a me, proprio come personalità che esprime coi suoi personaggi. Per esempio, ho anch'io (come il Gianni del film) l'abitudine all'intercalare "come dire?". Del resto, che volete, ognuno ha i modelli che si merita: c'è chi vorrebbe assomigliare a Bruce Willis e chi, come me, a Silvio Orlando! (Impagabile il primo piano di lui sotto la doccia, con la cuffietta in testa, che si sforza invano di immaginare una storia per un film...). Giuseppe Battiston è qui al livello più alto della sua carriera, e vederlo nel finale, così spaesato e confuso, è una roba che tocca il cuore. Kasia Smutniak è bella da far paura, e ad ogni nuovo film è sempre più brava, riuscendo a trasformare la sua bellezza da "modella di lusso" in immagine di ragazza dolente e malinconica. Piccola parentesi sulla Smutniak: strano che nessun critico abbia rilevato una coincidenza davvero curiosa; la bellissima Kasia, credo un paio di anni fa, era stata la protagonista di "Tutta colpa di Giuda", un film-musical che aveva come tema proprio lo stesso, cioè la rappresentazione di una cerimonia sacra. Marco Messeri: eccone un altro di fronte al quale ci si dovrebbe togliere il cappello, un attore clamoroso, formidabile. Della costante crescita di Cristiana Capotondi già ho detto. E già ho citato la grandissima Maria Paiato (la titolare dell'alberghetto), ma lo rifaccio volentieri per evidenziare che stiamo parlando di un'artista da  molti considerata la migliore attrice italiana contemporanea di teatro (e scusate se è poco). Da segnalare inoltre la splendida fotografia curata da Luca Bigazzi, che contribuisce, nelle sequenze finali, a dare vita ad immagini che richiamano con forza la suggestione di certi dipinti del Caravaggio. E vorrei concludere con una riflessione. Il pregio principale del film è senz'altro quello di aver messo in scena un percorso che sembra far coincidere dubbi ed inquietudini del protagonista con quelli di Mazzacurati. E naturalmente con quelli dello spettatore. Il quale si immedesima con Orlando soprattutto per un aspetto: che a compiere questa incursione nel Sacro è persona profondamente LAICA (come lo sono -appunto- protagonista e regista). Questo è il punto. Non oso infatti pensare cosa ne sarebbe stato di questo film se a dirigerlo ci fosse stato Pupi Avati. Meglio non pensarci.
Voto: 8/9

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