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La versione di Barney

Regia di Richard J. Lewis vedi scheda film

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La recensione su La versione di Barney

di scandoniano
8 stelle

Pazienza. È la parola d’ordine per affrontare la visione di “La versione di Barney”, che dura oltre due ore ed è insopportabilmente piatto per quasi la sua totalità. Tuttavia, chi non cambia canale o si dedica ad altra attività prima di averne terminato la visione, verrà premiato con un finale capace di ribaltare il giudizio complessivo del film.

Il finale e la morale del film consentono di considerare questa pellicola come una grossa metafora dell’esistenza umana: durante la propria vita spesso si fa fatica a comprendere appieno tutte le emozioni che si stanno vivendo ed il valore di certi eventi che accadono. Eppure, quando si tirano le fila, quando molte delle esperienze fatte non sono più reiterabili, non c’è niente di meglio che rivivere quei ricordi. Ecco perché se il ricordo non è possibile si rischia di vivere la propria vecchiaia infelici. Il regista Richard J. Lewis descrive il dramma dell’Halzheimer senza mai nominarlo. La malattia ha toccato qualcuno che vive una vita tutto sommato normale: pur essendo un produttore di successo, Barney non conduce una vita da nababbo; certo ricerca con continuità i piaceri della vita più comuni (sesso, droga, alcol, alberghi e ristoranti di classe), ha avuto tre mogli e due figli, ha viaggiato spesso, soprattutto in Italia, ma in fondo si capirà che ci tiene all’amore, alla famiglia, è gentile coi dipendenti, rispetta indiscriminatamente gli amici… E proprio tale normalità rende ancor più intenso il parallelismo tra l’esperienza di vita in senso lato e l’esperienza della visione da parte dello spettatore. Il finale, intenso e struggente, cambia ogni prospettiva: non solo scagiona il povero Barney dall’infamante accusa di omicidio, ma soprattutto lascia capire finalmente chi è realmente quel donnaiolo, ricco ed apparentemente senza sentimenti; allo stesso tempo è capace di ribaltare anche la valutazione sull’attore protagonista, un Paul Giamatti che pare a lungo inadeguato per il ruolo: troppo prestanti gli amici, troppo belle le donne, troppo generoso chi gli ha donato quella vita potenzialmente perfetta; eppure alla fine, seduto sulla panchina ad accarezzare una banana col volto devastato dalla malattia ad interpretare il più vulnerabile, nonché il più indifeso degli uomini, Giamatti si riscatta e appare perfetto.

“La versione di Barney” è un film bellissimo, ma soprattutto sorprendente, per quel cambio di registro, certo, ma anche per la capacità degli autori di raccontare la malattia scevra di pietismo, senza il minimo moralismo, tenendo la barra dritta fino ai titoli di coda che, a conti fatti, lo spettatore maledice perché arrivati troppo presto.

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