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Post mortem

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Post mortem

di domenicoa
8 stelle

Abbiamo visto “ Post Mortem “ diretto da Pablo Larrain.
Una delle ossessioni di Larrain che si riverberano nei suoi  film è il colpo di stato del boia Pinochet e la feroce dittatura  durata 15 anni.  Probabilmente deve questa sua rabbia - giacchè è nato dopo il golpe ed era un bambino quando Pinochet ha abbandonato il potere - al conflitto con suo padre ex presidente del Senato e senatore del partito più a destra del Cile.   Non dice che Pinochet è stato un assassino e un ladro, ma che in quei tempi   affondano le radici di un certo modo d’essere cileni.  E questo film lo suggerisce.
Dirige “ Post Mortem “,  presentato in gara all’ultimo festival di Venezia.  Anche questo film racconta personaggi tristi, sordidi, brutali, le ambientazioni sono cupe, e la storia è destinata a finir male. 
“ Post mortem “ è un film per stomaci forti, duro e senza un briciolo di speranza. Con momenti di grande cinema ma anche con momenti di una lentezza non sempre giustificata. Le scene sono spoglie, i dialoghi ristretti al minimo necessario e si respira un’aria pesante come pesanti possono essere i corpi dei morti. Gli attori sono bravissimi nel sottrarre al massimo i loro dolori, senza mai esteriorizzare quello che provano.

Sulla trama

Mario ( Alfredo Castro – il più noto attore cileno di cinema e teatro e attore feticcio di Larrain ) è un uomo dai capelli lunghi a caschetto, è solo, triste, solitario ( sul genere del personaggio di Toni Servillo in “ Gorbaciof “ ), lavora in una sala d’obitorio come dattilografo, annota le cause del decesso dettate dal medico. Questa volta si tratta di una donna denutrita e disidratata. Mario è distaccato e distante, come al solito ma questa volta conosce la donna, è Nancy ( Antonia Zegers – sembrava dovesse essere lei la vincitrice della Coppa Volpi a Venezia ), la sua dirimpettaia che ha amato e anche fatto morire. Inizia a ricordare, siamo nel Cile dell’ultimo periodo di Salvador Allende e del gobierno popular, ma l’epoca si intuisce soltanto dall’abbigliamento e che siamo in Cile lo si comprende soltanto in là nella storia. Mario è innamorato di Nancy, la osserva di lontano, ne controlla le mosse, fino a che non trova il coraggio di andare a vederla ballare in teatro e poi nel camerino, assiste così al suo licenziamento e l’accompagna a casa, ma i due in auto sono imbottigliati in una manifestazione politica e lei viene prelevata dall’auto da un amico comunista che la trascina nel corteo, lasciando l’uomo da solo..
Nancy vuole scusarsi con Mario, va da lui, si siede al tavolo del soggiorno ma scoppia a piangere; poco dopo anche lui comincia a singhiozzare. I due soffrono le proprie miserie: lei il licenziamento, lui la sua solitudine sentimentale ( forse anche il presagio che il loro paese è sul baratro. ). Cenano in un ristorante e lui le chiede di sposarlo ma lei fa finta di non capire. Siamo all’11 settembre del 1973, Mario intuisce la tragedia del golpe solo dai rumori e dalle grida che sente sotto la doccia. Quando scende in strada trova la casa di Nancy devastata e vuota e intorno solo carcasse d’auto. Ma si rende conto del cambiamento quando va al lavoro, all’obitorio ci sono molti militari e poco dopo giunge il corpo di Salvador Allende che deve subire l’autopsia. Il giorno dopo iniziano ad arrivare centinaia di corpi che riempiono l’obitorio e nei giorni continuano ad essere scaricati dai camion altri morti come fossero sacchi di patate e lui deve trascinarli nei corridoio con i carrelli con cui si trascina la merce. Ma l’unica preoccupazione di Mario è sapere dove sia Nancy e quando la ritrova, nascosta in uno scantinato presso casa sua, la rassicura: non le succederà niente, perché ora lui ha una posizione. Ma lei ama un altro, un oppositore che trascorre con lei nello scantinato la prigionia e quando lui li scopre…

Su Pablo Larrain

Regista originale e complesso allo stesso tempo, con idee da cineasta portate sullo schermo però con uno stile iper scheletrico, povero, senza alcuna concessione allo spettacolo. I suoi film sono grevi, dall’estetica ‘ chiusa ‘, senza alcuna remissione e senza alcuna empatia.

Su Alfredo Castro

Grandissimo attore, paragonabile per geometria recitativa al primo Bruno Ganz e al nostro Gian Maria Volontè

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