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La donna che canta

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su La donna che canta

di pippus
9 stelle

 Mamma mia, questo è cinema! La settima arte in grado di sottoporre lo spettatore al giogo di un enorme macigno che avanza, alternando scossoni a momenti di ST BY per poi sferrare una mazzata finale da stordimento collettivo.

Denis Villeneuve con incontestabile bravura traspone su pellicola l’opera teatrale “Incendies” (basata in parte sulla storia vera di Souha Fawaz Bechara) del drammaturgo canadese - ma di origini libanesi - Wajdi Mouawad, ottenendo un risultato particolarmente realistico, intenso e coinvolgente. Sintetizzando macroscopicamente, tutto inizia in Canada con le ultime volontà di Nawal per i suoi due figli, Jeanne e Simon; il Canada è la loro attuale realtà ma le loro radici sono in Libano. I due figli, gemelli di sesso diverso, non hanno mai saputo nulla della loro famiglia, e proprio questo aspetto è il fulcro attorno al quale ruota tutta la vicenda. I motivi che hanno condotto Nawal in Canada - stato dalla storia e cultura agli antipodi rispetto al Libano - sono nascosti in quelle lettere e come tutti i profughi, prima o poi, sentono nel cuore l’impulso di sapere ciò che ancora non conoscono delle proprie origini. Anche i due fratelli quindi  - prima Jeanne e in seguito anche Simon -, prendendo atto delle parole a loro rivolte dalla madre, in tempi diversi conosceranno un contesto per loro del tutto nuovo, un ambiente fitto di rapporti umani e tradizioni a cui non erano avvezzi e al quale dovranno inevitabilmente adattarsi.

Evitando un riassunto delle vicende - che Villeneuve ci presenta con un efficace gioco di flashback tra il vissuto della mamma e quello del presente di Jeanne - aprirei piuttosto una parentesi preventiva ed esplicativa della situazione all’origine delle sofferenze di Nawal: nel film non si parla di nazioni (a parte il Canada) e le località presentano nomi di fantasia, ma si evince fin da subito che il contesto è quello del Libano all’epoca della guerra civile protrattasi dal 1975 fino al 1990.

Le dinamiche di questo lungo conflitto hanno visto sulla scena più fazioni, da una parte i rifugiati Palestinesi dell’OLP cacciati da Hussein di Giordania (il cui numero è stata una delle cause primarie del conflitto) insieme ai musulmani - già precedentemente residenti in Libano - appoggiati sia dalla Siria (inizialmente) e dal '79 dall’Iran di Khomeini. Dall’altra parte i Cristiano Maroniti (unica chiesa d’oriente di rito ortodosso fedele al Papa) spalleggiati da Israele e che facevano riferimento al Partito di Gemayel (padre) prima e i due figli poi. Come la storia insegna questo tipo di conflitti è comunemente all’origine di indicibili atrocità, e in Libano è successo di tutto con stragi degli uni subito vendicate da altrettante rappresaglie degli altri (è solo il caso di ricordare i campi profughi di Sabra e Shatila rasi al suolo dalle milizie cristiane in seguito all’assassinio del presidente Bashir Gemayel, uno dei figli del fondatore del partito Falangista). Nell’82, in seguito all’invio da parte dell’Iran di molti “Pasdaran” (i guardiani di Khomeini) compaiono sulla scena gli “Hezbollah” (letteralmente il “Partito di Allah”) e questo merita davvero una riflessione su quanto occorra osare per autodefinirsi adepti di tale partito, giustificando così qualsiasi azione si decida di perpetrare con l’avallo del soprannaturale e confidando sul fatto che nessun Dio interverrà mai per una pubblica smentita. Ufficialmente gli scontri terminarono il 13 ottobre ’90, dopo 15 anni e ben 150.000 morti, con accordi comprendenti la presenza siriana in Libano che si protrarrà fino al 2005, quando avrà fine con la cosiddetta “Rivoluzione dei Cedri”.

Chiedo venia per questa mia lunga digressione, ma sono del parere che un film di questo spessore meriti un minimo di nozioni storiche atte a facilitare la comprensione di comportamenti per noi al limite della (s)ragione oltre a favorire il nostro coinvolgimento psicologico nel difficile contesto vissuto dai protagonisti. Una riflessione a volte trascurata ma essenziale consiste nel far mente locale sulla durata del conflitto, quasi il triplo della seconda guerra mondiale!

Più di un riferimento del film riporta a quanto realmente accaduto, e tra questi primeggia la straziante scena dell’autobus incendiato; chiaro riferimento all’inizio delle ostilità nell’aprile del '75, quando una rappresaglia dei cristiano/maroniti - con l'appoggio di Israele - contro un autobus di militanti palestinesi causò la morte di  27 persone.

Il film, trasfondendo un forte rapporto emotivo con il pubblico, risulta particolarmente efficace nel favorire una profonda empatia con la protagonista, presentandoci una donna che, suo malgrado, si ritrova a dover attingere dalla sua istintiva caparbietà la forza per combattere la stratificata sofferenza che prova nell'intimo del suo animo.

L'opera di Villeneuve esordisce con quella che è inizialmente la linea guida di Nawal: l'amore ricambiato per il suo compagno, una relazione che fin da subito evidenzia la sua problematicità non per attriti interni alla coppia, ma per la situazione - lei cristiana e lui mussulmano - che mal si addiceva al contesto che si andava delineando. Repentinamente lui diverrà vittima del fanatismo dei fratelli di lei, mentre del figlio da lui avuto grazie all'intervento e all'aiuto della nonna, Nawal perderà le tracce per anni. Per quest’ultima l’elemento catalizzatore da qui in avanti consisterà nell'oscillazione fra la razionalità e il fanatismo che, scoraggiata dall'inerzia dei suoi compagni di lotta, sfocerà nell'ascendente trovato all'interno della controparte; ovvero quelle falangi palestinesi che la porteranno, all'apice del suo coinvolgimento, ad assassinare il capo delle milizie cristiane con un'azione che potremmo definire integralista e suicida.

Al riguardo, la sua linea di condotta si potrebbe potenzialmente prestare a controversi giudizi e, nel caso ritenessimo il suo operato avventato o eccessivo, la nostra moderazione poco si addirebbe all’indole decisa e combattiva di Nawal, sarebbe come voler sgridare le nuvole quando piove.

In carcere percepiamo le vibrazioni della sua forte personalità; per coprire le urla delle delle altre recluse diventa “la donna che canta”, ma sofferenza e peso di simili vicissitudini lasciano il segno anche nella psiche più coriacea, e la micidiale potenza di ciò che il fato riserverà (a lei e a noi) comporterà l’epilogo della sua esistenza.

Questa dell’agnizione finale riportante alla Tragedia Greca è sicuramente il coup de teatre più d'effetto, ma non mancano nel corso dei flashback altre emozioni di tutto rispetto. Non ultima quella vissuta dai gemelli al capezzale di colei che aveva assistito Nawal durante il parto in carcere. Nel corso della toccante sequenza, l’anziana donna alla quale Jeanne e Simon si erano rivolti per avere notizie di quello che pensavano essere il fratello, oggetto delle loro ricerche, tende le braccia verso di loro sorridendo e proferendo incomprensibili ma accorate parole che non lasciano dubbi…non era il loro fratello quello nato in carcere! Già, dopo qualche giorno in Libano, nonostante la ritrosia iniziale, insieme a Jeanne c’è anche Simon, la sua venuta parrebbe dovuta all’escamotage di recuperarla per riportarla in Canada, ma… forse c’è dell’altro.

Breve parentesi: in fisica esiste un fenomeno attualmente tanto inquietante quanto inspiegabile, si tratta dell “entanglement quantistico”: semplificando, quel fenomeno che lega indissolubilmente due particelle (normalmente fotoni) le quali, dopo aver interagito insieme, abbiano preso direzioni diverse interponendo qualsiasi distanza tra loro; bene, la stranezza appunto consiste nel constatare che ciò che accade a una di esse si ripercuote immediatamente anche sull’altra! Ok, appurato questo, ci potremmo chiedere quale attinenza ci sia tra tale fenomeno e i due fratelli, la risposta consiste proprio nella strana “luccicanza” telepatica che la leggenda metropolitana da sempre attribuisce ai gemelli, alle loro strane sensazioni comuni anche quando lontani; leggenda che scarsa presa aveva sugli scettici iper razionali come il sottoscritto, ma che innegabilmente ora non ci possiamo più permettere di escludere in assoluto. Non possiamo razionalmente negare a priori la possibilità di un “entanglement” non quantistico, ma altrettanto misterioso, tra creature particolarmente affini come i gemelli. Questo forte legame unisce e unirà in futuro Jeanne e Simon, e questa forza interiore garantirà a vita la loro interconnessione rivelatasi essenziale nel far fronte alla sorprendente aritmetica umana che a volte permette che uno più uno sia uguale a …uno!

La razionalità di Jeanne, ormai brava matematica (la più simile caratterialmente alla mamma - ricordiamoci la frase rivolta a un Simon recalcitrante: “stai zitto e vieni con me!” -), è qui messa a dura prova ma, grazie alla complementarità del fratello, troverà con lui la spinta e il modo per ottimizzare le loro scelte finali.

Concludendo, pellicola adrenalinica con la plusvalenza che caratterizza i film basati su vicende e fatti reali, sceneggiatura e cast a mio parere ottimali, temprati e corroborati in alcune sue parti dallo struggente brano “You and Whose Army?” dei Radiohead che più azzeccato non poteva essere in quel contesto.

P.s. un paio di considerazioni:

1) Limito il giudizio a quattro stelle e mezza in quanto a una attenta analisi si potrebbero sollevare alcune obiezioni di ordine cronologico, non prive di fondamento, riguardanti le età dei protagonisti in relazione agli anni trascorsi nel corso della vicenda; in particolare l’età del primo figlio in rapporto all’età di Nawal durante il carcere.

2) Con il sottoscritto hanno assistito alla visione alcuni amici e uno di questi ha sollevato un quesito degno di nota verso il quale non mi sento di azzardare una risposta convinta. Il quesito, rivolto a Nawal, è il seguente: “ vista la situazione ormai discreta di Jeanne e di Simon in un contesto cronologicamente e geograficamente lontano dal suo pregresso vissuto e, più ancora, vista la potenza disgregante di ciò che aveva appena scoperto, sarebbe forse stato più opportuno - per preservare la psiche dei suoi due figli da eccessivi e laceranti scossoni - tacere e portare con se la verità? A caldo forse opterei per la linea seguita da Nawal, ma non nego a priori il valore della soluzione alternativa. Se ne potrebbe discutere dopo il film in un apposito post…

Concludendo: “Dove inizia la vostra storia? Se alla vostra nascita, allora inizia con l’odio; se alla nascita di vostro padre, allora inizia con una grande storia d’amore; io dico che inizia con una promessa, quella di rompere la catena dell’odio e, grazie a voi, finalmente oggi quella catena è spezzata!”

Opera esemplare, da annoverare tra le grandi del cinema per una grande lezione di storia, d’amore, di tolleranza e di progresso civile.

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