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Hereafter

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Hereafter

di fixer
8 stelle

 

 

Una società che non accetta la morte e nemmeno che se ne parli è fondata sull’inganno e sull’ipocrisia.

Se poi il tema diventa l’aldilà, colui che ne parla viene emarginato, così come avviene con chi parla di alieni e di UFO.

Una società che fonda tutto sulla razionalità e ciò che ne consegue non tollera che esista l’aldilà, perché la ragione non può accettare la frase “Credo quia absurdum” e non può accettare qualcosa di non certo, anche se dignificato dalla fede. Eppure, se c’è qualcosa di certo, questa è la morte. Per cui, fingere che non esista significa contraddire la propria identità di società razionale.

Il cinema americano ha talvolta (ma non spesso) affrontato il tema dell’aldilà, partendo dall’assioma che esso esista e concentrandosi soprattutto su raffigurazioni fantastiche, di facile presa sul pubblico. La vecchia Hollywood non vedeva di buon occhio temi come questo, nel timore di scontrarsi con gerarchie, gruppi di pressione e mentalità molto conservatori.

Si preferivano produzioni di serie B, senza grandi attori e senza budget consistenti, quasi a farle passare in sordina. I risultati furono deludenti, sia dal punto di vista commerciale sia artistico.

HEREAFTER è probabilmente il primo film che non parte da assiomi o da verità precostituite.

Esso presenta tre diversi modi di porsi di fronte al tema della morte e dell’aldilà. C’è chi (Cécile de France) la sfiora ma ne viene in qualche modo “toccata”, chi (Matt Demon) ha a che fare con coloro che la morte ha colpito da vicino portandosi via le persone amate e infine c’è chi (Frankie McLaren)non accetta la morte e cerca di mettersi in contatto in qualsiasi modo con il fratellino morto.

La loro vita è cambiata, cosa del resto banale, perché per qualsiasi essere dotato di senno, la morte che si porta via chi si ama, pianta una dolorosa bandierina nella nostra carne, la prima di una lunga o breve serie che si concluderà con la stoccata finale.

Nel film si apprezza la sobrietà, così difficile da ottenere in film del genere. Non ci sono scene strappalacrime, non ci sono fantasmi ed effettacci gratuiti. C’è una compostezza quasi classica che è un po’ il segno della cinematografia adulta di Clint Eastwood.

Non ci sono certezze acquisite, ma il messaggio che passa è quello della probabilità che al di là della morte ci sia qualcosa. La psichiatra (Marthe Keller), prima agnostica, ora spiega con convinzione che qualcosa c’è, basandosi sulle numerose esperienze pre-morte di molti suoi pazienti.

Il regista non affronta quel “qualcosa”, ma descrive le dinamiche dei tre personaggi principali che hanno a che fare con quel “qualcosa”: operazione intelligente che usa un percorso sicuro, quello cioè della rappresentazione della vita vissuta e non si azzarda ad interpretare o inventare l’altra vita.

Uno dei meriti di questo film è quello di lasciarci con gli stessi dubbi che avevamo prima di vederlo. Il regista lascia allo spettatore trarre delle conclusioni; egli si limita a proporre delle esperienze.

Così facendo, Eastwood lascia la libertà di credere o di non credere. Non forza il nostro libero arbitrio (e libertà di scelta) sbattendoci in faccia scene costruite sulla fantasia fatte passare per verità.

Evidentemente, la produzione e lo stesso Eastwood hanno giudicato che un tema difficile come questo potesse oggi essere accettato di buon grado e con forti probabilità di fortuna al botteghino. Se cioè la casa di produzione investe  parecchio e punta su un regista “sicuro” come Eastwood e su un attore superstar come Matt Damon, significa che i sondaggi pre-produzione erano buoni.

Ma questo non cambia l’assunto che si diceva all’inizio: la morte è un argomento quasi tabù. A renderlo accettabile è la particolare struttura narrativa del film, capace di scivolare via sugli aspetti “deprimenti” e insistendo sull’aspetto misterioso e in certo modo affascinante dell’aldilà, concedendo qualcosa alla curiosità di un pubblico più smaliziato ma ancora desideroso di essere stupito.

Il film è sicuramente un altro tassello pregevole della filmografia di questo sorprendente regista, di cui è sempre più evidente la matura evoluzione ideologica ed artistica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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