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Hereafter

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hereafter

di lussemburgo
8 stelle

Non è la prima volta che Eastwood si cimenta col paranormale, avendo già fatto un’incursione nel mondo dei fantasmi (e delle ossessioni derivate) già in Mezzanotte nel giardino del bene e del male. Se in quella prima pellicola mostrava la cattiveria degli spiriti mentre in questa afferma una solidarietà tra viventi e trapassati, in entrambi i film si concentra sui vivi, lasciando sullo sfondo le problematiche inerenti alla contaminazione tra i due universi.

Hereafter, al di là di brevi squarci ultraterreni e sintetiche descrizioni di sensazioni in termini fisici, non si cimenta nell’analisi della veridicità delle affermazioni, dandole narrativamente per scontate, ma si sofferma sugli effetti che la vicinanza della morte, per sensibilità, affinità o diretta esperienza, procura. Nell’incrocio dei destini dei tre protagonisti, separati nello spazio ma le cui vicende procedono in contemporanea, i diversi capitoli del film finiscono per integrarsi e sovrapporsi, per portare all’incontro tra le persone e alla reciproca influenza sino alla convergenza in un unico film che racconta la differente traiettoria della comune esperienza di una prossimità con l’aldilà. Hereafter parla di comunicazione, intermittente o angosciante, equivoca o indecente, tra anime e persone, tra ricordi e pulsioni, sino alla scoperta di un’armonia all’interno delle dissonanze.

Come sempre, è un cinema umanista quello di Eastwood, rivolto ad indagare volti e situazioni, spesso limitandosi ad illustrarle senza la pesantezza delle parole, ritraendo brevi momenti di dolorosa e pensosa solitudine. È un cinema in cui spiccano figure secondarie, necessarie allo sviluppo dei personaggi principali, ipotesi narrative deviate dal malinteso o dal dolore, dalla verità che si vorrebbe (Bryce Dallas Howard) o dovrebbe (Marthe Keller) tacere ma che imprimono ai protagonisti, come i più prossimi familiari, una velocità di fuga verso una deviazione improvvisa dell’esistenza, la cui spinta è analoga al trauma iniziale.

Pur narrato al solo presente, il film vive in una bolla temporale che accomuna disparati eventi di cronaca (lo tsunami, gli attentati di Londra, la crisi economica), che gioca con le dominanti cromatiche, cangianti a seconda dell’ambientazione, quasi cambiando stile (e lingua) per segmento. Se la morte si imprime dal passato dei personaggi sul loro rispettivo presente per condizionarlo, col ricordo della premorte, con le visioni ultraterrene di vite altrui, o con l’affetto del legame gemellare, è su uno scorcio improvviso di futuro da parte del sensitivo (Matt Damon) che Hereafter si conclude, inaugurando un capitolo non mostrato di inedita serenità per tutti i protagonisti, una promessa di happy end che sposta la narrazione su un asse temporale inesplorato ma che l’intera narrazione ha preparato.

La positività percepita nel finale nulla cancella del dolore provato ma lo rende necessario al completamento di una parabola esistenziale (come di una nuova e casuale “unità familiare” priva di vincoli parentali, tema ricorrente nell’ultimo Eastwood) e narrativa non consolatoria, il sereno raggiungimento di una meta che, a posteriori, risulta inevitabile.

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