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Noi credevamo

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Noi credevamo

di giancarlo visitilli
8 stelle

Martone, anche quando fa cinema, non prescinde dall’attitudine al palco. Noi credevamo è un capolavoro di maestria registica, innanzitutto. 

Il regista concentra l’attenzione su tre personaggi, le cui vite di rivoluzionari vengono narrate attraverso quattro episodi fondamentali. Ciascuno di essi ha una storia, una propria classe sociale d’appartenenza, unico è l’ideale per il quale lottare: l’Italia. Essi lo fanno con paura, coraggio, etica e libertà, in un paese che si sta costruendo, e col sangue. Per questo è avvertibile la responsabilità di fronte a certe scelte, per le quali si protende, senza avere ancora una coscienza di popolo. Non c’è ancora consapevolezza di quanto sia sottile la differenza tra schiavitù e libertà regolata, fra passione o semplice gesto eroico o folle. Martone racconta la genesi di un paese che, se pensato all’oggi, farebbe indugiare tutti su quel credo, appunto, trasformatosi in un tempo imperfetto. Passato.  

Coadiuvato dal quel genio del montaggio, ch’é Jacopo Quadri, Martone sembra dipingere splendidi quadri cinematografici, come olio su tela, prediligendo gli interni, sempre abitati da figure che posseggono l’enfasi della solennità. Ogni inquadratura, quindi, possiede la lucentezza e lo straordinario valore di un’opera fiamminga, in cui la cura per il dettaglio rende tutte le ambientazioni facilmente riconoscibili, finanche la cronaca si presta al racconto di un Risorgimento mai così descrittivamente reale: si tratta di uomini veri, di vite divise fra il dubbio e l’entusiasmo, l’associazionismo e la sana anarchia. Ne deriva un affresco storico, senza però i grandi protagonisti della storia, da Garibaldi, Cavour a Vittorio Emanuele II, solo evocati, alla pari dei grandi eventi storici. E’ come se il regista avesse fatto la scelta di raccontare il dietro le quinte, convinto che “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, al modo di come la cantò De Gregori. La messinscena è perfetta, sia nella passione/pulsione dei personaggi, ma soprattutto nel rigore morale, che non prevede sconti per nessuno, ma offre solo vibranti emozioni, che toccano le corde più nascoste. Martone non tralascia nulla, dalla Letteratura, il Teatro, al cinema che conta, da Visconti, Rossellini, passando da Soldati, prosciuga le tante visioni, pagine e cliché retorici, intorno alla storia d’Italia, ed esalta l’umano (merito dell’ottima interpretazione di attori come, su tutti Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi e secondari come Luca Zingaretti, Luca Barbareschi, Guido Caprino, Andrea Renzi e Toni Servillo). Si nota lo studio che c’è dietro un’opera come questa: uno dei tre personaggi è ispirato al protagonista del romanzo omonimo, in cui Anna Banti racconta la storia di suo nonno che era stato un cospiratore. L’affresco che ne deriva è quello di un’Italia eternamente divisa in due, a quei tempi tra monarchici e repubblicani, oggi fra imbecilli-razzisti e gente che si lagna sempre, con la scusa di un Sud, per tante cose incapace.

Peccato non vedere la versione integrale nelle sale, così come l’abbiamo vista al Festival di             Venezia (204 minuti, contro i 170 proposti in sala), essendoci precarietà di pagine di storia significative, Noi credevamo è il film che mancava. Fosse pure con la scusa del 150mo anniversario dell’unità d’Italia (che non c’è), comunque un modo per ricordare che “Noi non siamo fatti per la verità e l’inganno al tempo stesso”. Ma la verità, quando fa male, è bene che scalzi l’inganno. Merito di un cinema come questo.

Giancarlo Visitilli

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