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Niente paura

Regia di Piergiorgio Gay vedi scheda film

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La recensione su Niente paura

di mc 5
8 stelle

Quando, qualche settimana fa, ho sentito per la prima volta parlare di questo film, ho avuto come una reazione di rifiuto, immaginando subito tutto il probabile repertorio di sequenze di stadi pieni col solito pubblico osannante. E mi son chiesto che bisogno ci fosse di celebrare il mito di Ligabue attraverso il cinema. Adesso, a visione avvenuta, ne so molto di più e devo ammettere che il film è cosa assai diversa da quella rappresentazione della fenomenologia di un cantante che avevo a lungo ipotizzato. Tuttavia il mio parere non può essere netto e definitivo, poichè l'operazione genera ancora qualche dubbio sul senso di un progetto così raro per il nostro paese. Ho in testa diversi pensieri alcuni dei quali di segno opposto e allora ho scelto di impostare questa mia analisi affrontando la recensione sotto due diversi punti di vista. Prima cercherò di mettere a fuoco quegli aspetti che ancora continuano ad indurmi perplessità e successivamente evidenzierò gli elementi positivi di un film che ha saputo cogliermi di sorpresa, anche neutralizzando alcuni di quei pregiudizi che in un primo momento mi avevano condizionato. Il film si apre sulle note di Liga che affronta il pubblico come un eroico condottiero che arringa il suo popolo. E sono proprio quelle immagini che temevo di dover subire, puntualmente arrivate. Discutibili. Teoricamente, si potrebbe anche pensare d'essere a qualche fottuto Festivalbar, in un tripudio di striscioni e cuoricini palpitanti, accendini e cori. E a quel punto, Vasco o Zucchero, Irene Grandi o la Pausini, che differenza fa? Tutti hanno i rispettivi "sorcini" devoti che tributano furore e dolcezza all'oggetto del loro culto. E' un business che, dai primi posti in classifica ai tutti esauriti negli stadi, muove un sacco di milioni e, al contempo, un sacco di sentimenti. Eppure quelle folle eccitate sono la somma di tante teste e di tanti cuori. Nel film ne vengono estrapolati alcuni, di questi giovani fans, ovviamente fra quelli più teneri e simpatici, tralasciando con cura quelli fuori di testa e ubriaconi che pure esistono come in ogni tifoseria. E allora si affaccia il dubbio se i cenni che dal palco Liga fa alla Costituzione e all'Italia che lui vorrebbe, se queste sue parole, benchè non estreme e assai pacate, vadano a segno, incidano davvero, vengano recepite da quei fans invasati che andrebbero in visibilio anche se lui parlasse loro di gastronomia o di francobolli. E qui entra in ballo il concetto di "Comunicazione", cioè stabilire ciò che un "guru" popolare riesce (o vuole) comunicare al suo pubblico. Sì, perchè non solo Liga ma anche Zucchero o Vasco mandano i loro messaggi alle folle. Vasco, per esempio, alimenta un discorso molto generico sui sentimenti, un "cosa facile" in cui ogni strato sociale può riconoscersi, testi fatti di incazzature amorose o di incazzature sociali assai blande e superficiali in modo che arrivino a tutti senza scendere in dettagli troppo impegnativi. E Ligabue che cosa trasmette? Beh, qua il discorso si fa complicato. A differenza di Vasco (che ormai è divo da Telegatti, e dunque buono per ogni stagione e col rock c'entra ben poco), Ligabue, pur mantenendo le distanze da prese di posizione troppo definite, non ha mai fatto mistero di avere delle idee collocabili sicuramente a sinistra. Anche se un gioco delle parti mediatico impone che egli dica sempre che non è sua intenzione usare le sue canzoni per veicolare concetti politici. Ma lo sapete come si chiama l'agenzia di produzione e management che sta dietro al Liga e che è gestita dal suo amico fraterno Claudio Maioli? Si chiama Riserva Rossa: dubbi, allora, ce ne sono davvero pochi. Tuttavia, allora, perchè questa sensazione di imbarazzo che si percepisce ogni volta che Liga si esprime sulla società di oggi? Sembra che cammini coi piedi di piombo, a volte. E' anche un problema mediatico: essendo una star che muove milioni e contendendosi i primi posti della top ten con colleghi agguerriti e rockeggianti, deve stare attento, pur essendo sanguigno fin che si vuole, a non scontentare fette troppo larghe di pubblico. In altri termini, deve esprimere concetti "sociali" ma che...vadano bene per tutti. Anche per coloro che la politica la vedono solo come noia o come fumo negli occhi. Da questo punto di vista non posso non riconoscere che Liga se la cava tutto sommato bene: dice quello che pensa, lo dice con tonalità piuttosto "light", ma comunque almeno ci prova a dirlo (a differenza di un Vasco, per dire, che insiste a fare il "picchiatello-romantico" così da acchiappare consensi a manca ma anche molto "a destra"...ci siamo capiti vero?). Ma posto e chiarito che Liga concilia sapientemente business e consapevolezza, si delinea un altro problema, che ci riporta allo specifico del film in questione. Durante l'ora e mezza vediamo succedersi testimonianze di intellettuali, scienziati, artisti, i quali, alternati a volti di giovani fans di Liga, paiono tutti tesi ad esprimere pensieri che iniettino speranza nello spettatore, soprattutto richiamandosi ai valori fondanti della nostra Costituzione. Tutto questo è bello, sano e giusto. Ma qualcuno potrebbe chiedersi: ma perchè mai a fare da collante a tutto questo movimento di volti e sacrosante opinioni deve esserci proprio Ligabue? Non avrebbe potuto esserci (che so?) Marco Travaglio piuttosto che Fabri Fibra, Riccardo Iacona piuttosto che Michele Serra. E allargando il discorso, se proprio si vuol costruire un documentario "di peso" attorno ad un musicista, capirei un Tom Waits o uno Springsteen....ma un Ligabue, pur con tutto il bene che gli voglio...bah. Ecco, fino a qui io ho riportato una piccola montagna di dubbi, di critiche e di perplessità, che però (attenzione) non implicano un giudizio negativo sul film, ma solo il porre questioni circa il senso di tutta l'operazione curata dal regista Piergiorgio Gay. A questo punto, come avevo promesso all'inizio, vorrei cimentarmi in un'ALTRA recensione, complementare alla prima, ma basata stavolta solo sulle impressioni positive. Infatti si è verificato proprio questo: durante la visione, e soprattutto dopo di essa, riflettendo su quelle parole ed immagini, su molti aspetti ho modificato in positivo (se non addirittura ribaltato) alcune delle mie perplessità. Ciò che mi preme evidenziare è che non è giusto aspettarsi dal film qualcosa che indaghi su questi tempi inquieti con spirito radicale o con, anche vaghe, attitudini politiche. A parte  il fatto che il film ha avuto una distribuzione capillare e deve dunque fare i conti con un riscontro economico, in quella sede non era opportuno mettere in scena uno "scontro" aspro verso le Istituzioni e la Politica. Eppure, se non uno "scontro", un bel pacchetto di critiche (per quanto espresse in forma assai civile e mai gridata) il regista è riuscito ad inserirle nel film. Questa, mi par di capire, era l'intenzione: mostrare che esiste una gioventù consapevole, magari unita trasversalmente dalle canzoni, che non si dà per vinta, che è disposta a credere negli ideali dettati dalla Costituzione. Mai rassegnarsi o abbozzare, ecco il messaggio. Ed è un messaggio che viene diffuso utilizzando una galleria  prestigiosa di testimonial i cui volti ci sono noti, da Margherita Hack a Don Ciotti, da Soldini a Verdone, da Saviano a Rodotà. Ognuno di loro (ed altri che ho dimenticato) con civiltà e pacatezza porta il suo (spesso vibrante) contributo. Senza bandiere e senza simboli di partito, con un unico vessillo: quello del buon senso. Voglio insistere su quest'ultimo punto, anche alla luce di quanto lo stesso Gay va ribadendo nelle numerose interviste promozionali di questi giorni. Si può facilmente intuire, non dico come voti, ma comunque da che parte sta questo regista: dalla stessa parte mia e di molti di noi, ma tuttavia sarebbe stato un errore concepire il film come una risposta politica alle inquietudini sociali. Per il semplicissimo motivo che la politica DIVIDE, mentre il buon senso UNISCE. Ed ora più che mai, in quest'Italia devastata da politici che si vogliono solo salvare dai processi, c'è bisogno di (buon) senso comune da CONDIVIDERE, se vogliamo che qualcosa cambi e che "Qualcuno" se ne torni a casa sua. In questo senso ho apprezzato quei volti di ragazzi anonimi che, seppur con qualche incespicatura espressiva, si aprono alla discussione e soprattutto alla speranza. In particolare mi ricordo una ragazza di origine albanese (peraltro assai graziosa) che racconta le proprie esperienze ed aspettative. Ma soprattutto mi ha fatto emozionare un bellissimo e tenero volto di donna, la vedova del ciclista Fabio Casartelli: le sue parole sono di una dolcezza che spacca il cuore, di una dignitosa semplicità che genera ondate di tenerezza. Quanto poi alla star, Luciano Ligabue, non mi nascondo dietro un dito: forse è l'anello più debole della catena, forse le sue spalle non sono abbastanza robuste per reggere il peso di "rappresentare" tutta questa coralità di pensieri e voci. Eppure se lui è al centro dei riflettori, un motivo c'è. Voglio dire che, fermo restando che molti dei suoi testi finiscono per crogiuolarsi un pò troppo nel ventre accogliente del suo far west padano, se Luciano ha SCELTO di far conoscere (attraverso scritte sui maxi-schermi dei concerti) la Costituzione alle moltitudini che gremiscono gli stadi, cavolo, qualcosa vorrà pur dire. E di questa sua coraggiosa scelta gli va dato atto, a prescindere. E vorrei a questo punto riportare un paio di concetti espressi da due ospiti illustri. "La politica va fatta con le mani pulite" esclama uno splendido Sandro Pertini (parole che, col senno di poi, acquisiscono una rilevanza immensa). E poi l'oncologo Veronesi, il quale dice che "La Costituzione deve essere per i laici quello che il Vangelo è per i credenti". E mi piace concludere inviando un forte abbraccio ideale alla persona tra quelle apparse in questo film che più mi ispira solidarietà ed affetto: Beppino Englaro. Le sue parole, pacate ma terribili, suonano come una condanna a chi, arrogandosi il diritto di interpretare il pensiero di Dio, vorrebbe imporre vincoli e paletti al dolore atroce di un padre disperato. Concludendo. Ci sono rockers che sposano il rock'n'roll al mondo vacuo dei Telegatti. Ma per fortuna ci sono anche dei rockers che sposano il rock'n'roll con la Costituzione. E se anche non tutte le loro canzoni ci convincono allo stesso modo, teniamoceli stretti.
Voto: 8/9   

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