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5150, Rue des Ormes

Regia di Éric Tessier vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su 5150, Rue des Ormes

di Marcello del Campo
8 stelle

locandina

5150, Rue des Ormes (2009): locandina

 

 

ERIC TESSIER/PATRICK SENÉCAL.  5150, RUE DES ORMES

 

 

Qualche critico ha fatto il nome di Stephen King a proposito dei romanzi di Patrick Senécal. Valerio Evangelisti, che non è l’ultimo arrivato ha scritto: “Questi, secondo me, godrebbe una fama pari a quella di Stephen King se non fosse nato in Québec (dove è venerato e fatto oggetto di tesi di laurea) e non scrivesse nella lingua di quell’angolo di Canada. Lo stesso Senécal è un tipo singolare. Di aspetto contadino, parla un franco-canadese che più corrotto non potrebbe essere, rispetto al francese dell’Europa. Eppure è persona sensibile e colta (di mestiere fa l’insegnante), e narratore eccezionale.”

Nato nel 1967, Senécal è scrittore precoce, a dieci anni scrive il suo primo racconto. Si iscrive alla facoltà di Medicina, ma lascia l’università per studiare Letteratura francese all’Università di Montréal. Il successo non tarda ad arrivare, ma Senécal non è tipo da montarsi la testa e alterna l’attività di professore con quella di scrittore. Nel giro di pochi anni diventa l’autore più letto e più premiato del Québec.

In Italia nessuno si accorge di questo grande scrittore di horror, nonostante Sur le seuil del 1988, Aliss (il suo capolavoro) del 2000 e 5150, Rue des Ormes del 2001, siano stati pubblicati in tutto il mondo.

Solo nel 2008 la benemerita Editrice Nord pubblica Sur le seuil con un titolo ridicolo che ammicca a un film che non c’entra nulla, Una mente pericolosa.

Scrive ancora Evangelisti: “Aliss. Riscrittura terrificante di Alice nel paese delle meraviglie, con una ragazzina che si perde in un quartiere periferico di Montréal, da cui scopre di non potere uscire; e si trova alle prese con un crescendo di orrori, tutti ispirati al racconto di Lewis Carroll. Quasi un capolavoro, però di un sadismo estremo, non facile da sopportare. E per di più infarcito di espressioni gergali del Québec, capaci di sfidare i migliori traduttori.”.

Spero che l’Editrice Nord continui a pubblicare tutti i romanzi di questo straordinario costruttore di trame inquietanti.

 

ÈRIC TESSIER

 

A giudicare dalla distrazione dei critici, ma prima ancora di quella dei distributori, la speranza che i film tratti da Senécal arrivino in Italia sono scarse. Infatti, mentre a Hollywood è in cantiere il remake di Sur le seuil, in Italia non c’è traccia dei due film che Èric Tessier ha diretto, entrambi tratti da romanzi di Senécal, Sur le seuil del 2003 e 5150, Rue de Ormes del 2009 (noto anche come 5150, Elm’s Way), quest’ultimo molto noto e apprezzato dai downloaders.

 

5150, Rue des Ormes è la via in cui il giovane Yannick Bèrubé (Marc-André Gordin – era Regis Débray in Che Guerriglia di Soderberg) cade dalla bicicletta per evitare un gatto. Yannick, partito da casa, perché ha vinto un concorso per diventare regista, ha fatto appena in tempo ad assaporare la libertà di stare lontano da un padre stronzo, che tra poco si troverà nei pasticci seri con un essere diabolico. Insomma, il gatto è salvo, ma per Yannick stanno per aprirsi le porte dell’inferno. A malincuore ha salutato la sua ragazza Cathérine (Josée), tra poco incontrerà un’altra ragazza, Michelle Beaulieu (Mylène St-Sauveur), poco rassicurante.

 

Ecco la famiglia Baulieu al completo:

 

Jacques Beaulieu (Normand D’Amour), il padre: psicopatico a tendenza persecutoria, è il capofamiglia che ha formato ‘L’esercito dei giusti’; Jacques soccorre il giovane Yannick e lo sequestra perché ha visto troppo.

Madame Maude Beaulieu (Sonia Vachon), la consorte: ha la casa piena di insegne religiose, accetta con serena rassegnazione la folle dittatura del marito, pur conoscendone la crudele determinazione a giustiziare le persone che ritiene ingiuste (omosessuali, tossicodipendenti, ‘perdenti’).

Michelle Beaulieu: è la figlia maggiore, su di lei Jacques ha un potere immenso, è lei che dovrà raccogliere l’eredità paterna di liberare il mondo dagli ingiusti.

Anne Beaulieu (Èlodie Larivièere): la figlia piccola, una dodicenne devastata psicologicamente.

La famiglia Beaulieu è in apparenza una famiglia tranquilla agli occhi del vicinato: Jacques fa il tassista, la sua filosofia si basa sul gioco degli scacchi: il mondo è fatto di cavalieri bianchi e cavalieri neri, i primi (cui lui dice di appartenere) rappresentano i giusti, i secondi sono la vergogna del mondo e vanno eliminati, “senza violenza”, come insegna a Michelle. “Un colpo secco al cuore”.

Yannick resterà due mesi nella casa Beaulieu, prigioniero, tutti i suoi tentativi di fuga saranno vani; unica arma a sua disposizione è la cinepresa, message on the bottle lanciata ai naviganti.

 

Film gelido come pochi, 5150, Rue des Ormes regala frutti amari che il cinema thriller-horror ha dimenticato. Fare raffronti con Psycho, come molti azzardano, è un esercizio inutile perché nega al cinema ogni possibilità di progresso.

Raccontare la trama, significa fare un torto a chi vorrà vederlo.

Qualcosa si può dire sulla scelta di Tessier di calare il terrore nell’atmosfera dolciastra di una famiglia affiatata: le buone maniere a tavola, l’educazione cristallina della piccola borghesia lavoratrice, gli intingoli di Maude, sono la spia del nero più profondo che mente umana possa concepire.

L’alternanza di quiete e massacro, preghiera e sangue, carezze e incisioni nella viva carne sottopongono lo spettatore a docce di sudore freddo, né Tessier rassicura con il ricorso al grottesco che in film di questo genere serve solitamente a dirottare la storia nella fabula bachtiniana.

 

5150, Rue des Ormes non è realtà romanzesca, è rappresentazione documentaria del punto di non ritorno cui è pervenuta oggi la paura dell’altro, indotta da sistemi di potere che hanno prodotto mostri.

Jacques è il rappresentante del nuovo cittadino securitario che siede a tavola sopra gli scalini dell’orrore. Da lui Yannick imparerà a giocare a scacchi, il lui vedrà il riflesso del padre dal quale è fuggito, a lui concederà l’ultima mossa nel grand guignol finale per eleggere la Regina Bianca, ultima dea di un impossibile ravvedimento.

 

L’ultimo cavaliere bianco è la paura.

 

 

«Se trovate questa cassetta vi prego di aiutarmi. Il mio nome è Yannick Bérubé, sono prigioniero di una famiglia di pazzi, sono davvero pericolosi. Il nome della famiglia è Beaulieu, sono quattro: il padre, la madre, un'adolescente, Michelle, mi pare, ed una bambina. Dovete chiamare la polizia e venire a cercarmi».
In questo messaggio disperato, registrato in fretta e furia con la propria telecamera e lanciato fuori da una finestra da Yannick, giovane studioso di cinema, è rapidamente descritta l'ossatura di questo intrigante thriller canadese. La famiglia in questione, i Beaulieu, per l'appunto, è dominata dal padre padrone Jacques, sedicente capo dell'Esercito dei Giusti, strenuo difensore della (sua) Vera Legge, portatore (in)sano di rettitudine morale e figlio degenere di un sistema culturale che impone l'odio per il diverso, il cui scopo nella vita è quello di eliminare coloro che lo meritano, gli Ingiusti, ossia tutti quelli che da quella morale si allontanano. Sua moglie Maude, insicura e debole, non osa contraddirlo, anzi dice di fidarsi di lui e gli obbedisce, perché così le ha insegnato Dio. La figlia maggiore, Michelle, ha in comune con l'aspirante regista la passione per la cinepresa: lei ha 16 anni, tanti conflitti interiori, e la responsabilità di essere stata già designata dal padre come sua erede. E in ultimo c'è Anne, la più piccola, taciturna e disturbata, probabilmente destinata ad lunga carriera di cure psichiatriche.
La cosa che più convince in questo riuscito thriller imperniato su uno stringente clima da assedio in un crescendo claustrofobico di atmosfere capaci di spaziare tra il noir e l'immaginario horror è la definizione dei caratteri dei personaggi, sempre credibili pur se estremi, ed il loro successivo e progressivo sviluppo, parimenti coerente e puntuale. Yannick è un buono, e in questa gabbia di matti c'è finito solo per caso, perché, feritosi ad una mano in seguito ad una banale caduta dalla bicicletta ed entrato in casa Beaulieu solo per chiedere soccorso, s'è ritrovato fortuitamente testimone della morte del prigioniero precedente: il suo inserimento coatto nel contesto malato di questa famiglia disfunzionale non era quindi previsto ma diviene giocoforza necessario, ed ha come effetto quello di alterarne irrimediabilmente gli equilibri: e barcolla pesantemente pure il suo, lui figlio mite e gentile di padre dispotico e madre alcolizzata. Le conseguenze saranno imprevedibili e devastanti per tutti.
Tratto da un romanzo di Patrick Senécal (considerato da molti lo Stephen King canadese), il film di Éric Tessier conquista immediatamente grazie ad un ritmo da subito incalzante e senza cali su cui la tensione si istilla e cresce di pari passo con la (op)pressione costante cui sono sottoposti i significativi conflitti interiori di ciascuno. 5150, Rue des Ormes non inventa nulla, ma si impegna con costanza e profitto a rifuggire luoghi comuni e scelte banali, cercando piuttosto soluzioni sorprendenti o poco battute: prova ne sia il ruolo sempre più centrale (e singolare) cui assurge il gioco degli scacchi, il gioco della ragione per eccellenza, il gioco in cui chi non sbaglia vince sempre e chi commette errori è sconfitto, metafora della vita secondo Jacques Beaulieu e sua (in)verosimile raffigurazione inanimata. A voler cercare il pelo nell'uovo, il film perde qualcosa nella resa non impeccabile di alcuni effetti visivi nei minuti finali. Ma è davvero un peccato veniale che si perdona e si dimentica in fretta. Validi gli attori, tutti poco noti, tra cui, nel ruolo di Yannick, il protagonista Marc-André Grondin (già visto in C.R.A.Z.Y.), un curioso incrocio tra Gael Garcia Bernal e la versione politicamente corretta di Jack Black.

 

Dopo alcune serie televisive, Tessier torna, sei anni dopo, a dirigere un secondo film tratto da Senécal, un film che potrebbe rappresentare una sorpresa come è accaduto a Lasciami entrare di Tomas Alfredson, se solo qualche distributore avesse il coraggio di promuoverlo.

Con questo film il regista canadese si libera del modello horror americano, solo agli ‘analogici’ per forza, la trama sembrerà simile a Miserydi King. Se qualcuno pensa che ogni film in cui c’è una persona rapita e tenuta prigioniera somiglia a Misery, allora non resta che affermare che anche Buongiorno notte è un film kinghiano!

 

Sur le seuil (2003)

 

Thomas Roy (Patrick Huard), scrittore molto famoso del Québec, invitato spesso in televisione per parlare dei suoi romanzi dell’orrore, viene trovato in casa sua orribilmente mutilato delle dita delle mani e in stato catatonico. Mentre la polizia indaga (tentato omicidio o tentato suicidio), Roy è trasportato in osservazione in un ospedale psichiatrico e affidato alle cure del dott. Paul Lacasse (Michel Côté). Questi sulle prime tratta il caso come una sindrome di automutilazione, ma lo scrittore, continuando a battere sulla tastiera del computer con una matita stretta fra i denti, cerca di raccontare ciò che è realmente accaduto. Il dottore è restio ad accettare la terribile spiegazione del mistero, poi, spinto dall’interesse del giornalista Charles Monette (Jean L’Italien), comincia a indagare sulle forze del male.

Rispetto alla scrittura di Senécal, che molto deve a Steven King ma che si smarca dal modello horror dell’americano con molta originalità, la regia di Tessier (almeno in questo film) è diligente, non direi piatta, ma ‘vacante’; abile nello sfruttare i movimenti di macchina, il regista (per mancanza di fondi?) indulge nelle inquadrature fisse e su carrelli all’indietro che ricordano troppo film come Rosemary’s Baby e analoghi film degli anni Settanta. Buona la direzione degli attori, sui quali svetta Jean L’Italien, la fotografia del paesaggio innevato, infine un film che non è un capolavoro, ma apre strade nuove al morente horror made in Usa

 

Marc-André Grondin

5150, Rue des Ormes (2009): Marc-André Grondin

 

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