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Venere nera

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Venere nera

di ed wood
8 stelle

Opera imperfetta, qua e là sfocata e squilibrata, non sempre intensa, conferma però le qualità di un autore che, dopo il recente exploit della "Vita di Adele", è entrato nella lista dei maestri controversi del cinema contemporaneo. La "Venere nera" parte in sordina, con una prima mezzora che espone in modo didascalico (ma non per questo rozzo) i conflitti in essere: si parla di schiavitù, subita o accettata, nel cuore della civile ed evoluta Inghilterra. Saggiamente, Kechiche abbandona il dialogo logorroico ed isterico (sua cifra stilista prediletta) delle sue prove precedenti e dimostra, tutto sommato, di saper valorizzare anche sguardi, silenzi, montaggio e scenografia. Si intuisce sin dall'inizio come la condizione della "schiava" sia, in qualche modo, accettata come opportunità di riscatto sociale. Questa consapevolezza rappresenta il primo momento nel film in cui il testo entra in rapporto dialettico col presente, ovvero con l'attuale condizione imposta dal mercato nel mondo neoliberista. Non sarebbe stato soddisfacente infatti un film tutto centrato sulla critica di costume di un'epoca lontana: il grande cinema biografico deve essere in grado di dialogare con l'oggi per avere una qualche rilevanza. La sequenza del processo, nella sua spietata e spiazzante ambiguità, rivela il paradosso di una società doppiamente ipocrita: il padrone viene tacciato di schiavismo, quando in realtà la sua attività è in regola e la "schiava" è trattata come una di famiglia o una socia di lavoro; inoltre lo scandalo maggiore pare essere quello delle nudità esposte da Saartije durante gli show, non tanto la sua condizione lavorativa. A mano a mano che il film procede, emerge quello che è il fulcro tematico del film, ossia: lo società dello spettacolo. Saartije recita, ma fino a che punto? Dove finisce la realtà e dove comincia la rappresentazione? Saartije recita sul palco, recita (o no?) al processo, recita (o no?) col suo primo padrone e con quello successivo. E' un film dominato dalla voracità degli sguardi, dall'attrazione/repulsione del pubblico "generalista" nei confronti dell'oggetto della visione: una dinamica del tutto simile a quella dei moderni reality/talent show, e qui risiede la profondità dialettica di Kechiche. Il regista poi è abile nel rendere questo mondo aberrante attraverso sapienti richiami alla storia del cinema "ideologico": dal montaggio "estatico" e parossistico di Eisenstein alla depravazione del "Salò" pasoliniano, arricchiti da una iconografia pittorica forse memore di Toulouse Lautrec, il regista imbastisce sequenze orgiastico-feticistiche che prendono il sopravvento nell'ultima parte di film. Se la componente erotica è rimasta latente per metà film, dal momento del bacio col secondo padrone (illuminato da una geniale fotografia che fa sembrare della medesima tonalità le epidermidi di una nera e di un bianco, immagine evidente del compromesso su cui si basa la condizione di Saartije) esplode in una desolante allegoria della società pornografica dei nostri tempi, consumatrice compulsiva, seriale ed apatica di inerti "oggetti" sessuali. E "oggetto" è Saartije, fin dall'incipit in flash-forward (poi spiegato in un finale geniale e feroce): materia di studio per scienziati, intenti a violare la sua (speciale) intimità. Quando si dice che, nella società dello spettacolo, tutto gira in torno alla "figa", si tende a ridacchiare e a minimizzare: in realtà "Venere nera" dimostra come l'organo genitale femminile sia quasi un simbolo di qualcosa di possedere a tutti i costi, e in questo senso la metafora medico-anatomica non pare certo fuori luogo. "Venere nera" non è privo di scompensi, di ripetizioni, di eccessi, di passaggi convenzionali e dispersivi, di storie accennate e abbandonate (il passato di Saartije) e inoltre la protagonista risulta forse fin troppo monocorde (a fronte di un Gourmet strepitoso, come sempre). Ma va dato atto a Kechiche di aver saputo rinnovarsi, riprendendo e talora ribaltando quanto visto nelle prove precedenti (dalle rappresentazioni della "Schivata" alla danza di "Cous Cous"), ma articolando e approfondendo il discorso verso nuove direttive tematiche ed estetiche.

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