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La solitudine dei numeri primi

Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film

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La recensione su La solitudine dei numeri primi

di mc 5
10 stelle

Si tratta di un'opera sotto molti aspetti disturbante, angosciante, che trasmette disagio e preoccupazione. Di certo non lascia indifferenti. Personalmente, sono uscito dalla sala turbato, emozionato, consapevole di aver appena visto un film che mi aveva anche fatto stare male ma che proprio in questo effetto ne intravedevo la grandezza e la potenza. Il tema centrale è di quelli impegnativi: indagare su quali effetti può produrre sugli uomini l'assunzione del dolore, il farsi carico di colpe che scatenano tragedie nella psiche e tempeste devastanti nel cuore. Ho parlato di "uomini" ma in senso ampio, perchè in realtà il film allarga il campo a tutto lo spettro dell'esistenza: bambini, adolescenti e adulti. Tre condizioni distinte, ma tutte destinate, in animi sensibili ed oppressi, a convivere con il buio, con il rinchiudersi in sè stessi, con l'auto escludersi dal consorzio degli uomini. Uno dei tanti pregi di questo film è quello di (programmaticamente, direi) prendere le distanze dalla cinematografia italiana così come la conosciamo finora. Scordatevi i luoghi comuni (anche quelli più positivi e conclamati), da Luchetti a Virzì, da Mazzacurati a Ozpetek. Qui siamo su posizioni molto diverse, non so dire se migliori o peggiori, sicuramente più coraggiose. Saverio Costanzo osa spingersi molto oltre, osa sporcarsi le mani indagando sugli abissi più atroci della solitudine, quasi ad intonare un doloroso inno a quegli uomini che si fanno isole, quasi ad individuare in essi un estremo sublime martirio. E badate che questi "umiliati e offesi" non sono degli "ultimi" perchè non arrivano a fine mese, qui lo stato sociale non c'entra nulla. No, qui è la dignità più intima, il senso stesso del vivere, il diritto alla serenità, che vengono calpestati da un destino infame. Era mia intenzione quella di astenermi dal raccontare i due episodi che rappresentano "la chiave" del film, ma poi ho pensato che non avrebbe senso ignorarli, poichè essi sono al centro di tutto quello che si vedrà poi evolversi sullo schermo. Cercherò di sintetizzare. Una bambina cresce in una famiglia con genitori piuttosto possessivi, in particolare un padre che decide tutto per lei e che non sa e non vuole ascoltarla...come una mattina in cui (pur essendo lei visibilmente indisposta) pretende di farla partecipare ad una gara di sci. Ne segue che la piccola, anche per le impervie condizioni meteorologiche, si perde tra le nevi e cade procurandosi una grave ferita ad una gamba, con successivo delicato intervento chirurgico che la renderà zoppa per tutta la vita. Cambiamo scenario. Altra famiglia, altri figli. Qua abbiamo due bambini gemelli, due fratellini: una femminuccia affetta da evidenti disturbi mentali e un maschietto che, seppure con sacrificio e fatica, ha imparato a convivere con una sorellina assai problematica, dalla quale peraltro non si separa praticamente mai. Finchè un pomeriggio in cui i due sono in cammino verso una festa privata di compleanno di un loro amichetto, il bambino sfinito da una crisi nervosa della sorellina, la piazza seduta su una panchina chiedendole di restare lì senza muoversi ad aspettarlo. Ma quando lui fa ritorno proveniente dalla festa, lei è scomparsa (e non la si ritroverà mai più). E lui piomba in un abisso di disperazione indicibile, che lo  trascina in una zona buia, in un male di vivere irriversibile da cui nulla potrà salvarlo. Entrambi i protagonisti crescono (va da sè) come ragazzi estremamente problematici, tremendamente chiusi, privi di quegli entusiasmi (anche ormonali) e di quella voglia di affacciarsi alla vita che caratterizzano ogni adolescente. Come fiori che non sbocceranno mai. Eppure anche per loro la vita continua. Molto bravo Costanzo ad indagare con delicatezza di sguardo le sfumature psicologiche dei due ragazzi, sia in relazione alle rispettive famiglie, sia in rapporto con l'ambiente scolastico. Già, la scuola. E' proprio nei corridoi dello  stesso Istituto che ALICE e MATTIA vedono i loro destini sfiorarsi e poi incrociarsi per sempre. Ecco, secondo me questo è già un miracolo (d'amore? di comunicazione?), cioè che due vite oramai prive di speranze, condannate al soliloquio e predestinate all'implosione, due esistenze per molti aspetti simili, si incontrino generando un corto circuito che, pur non implicando nulla di definitivamente salvifico, riesce comunque nel prodigio di far sì che quelle due "isole" si parlino, si confìdino, si raccontino, aprendosi l'una all'altra. Io vedo in questo concetto qualcosa che mi ha sinceramente emozionato e commosso. Ma non si creda che da questo incontro nasca una soluzione. Diciamo che è per entrambi un punto di ri-partenza, un cammino finalmente comune di cui però non si intravede un traguardo. Perchè la verità è che due persone così "colpite" non guariranno mai, la loro condizione di solitudine è uno stato dell'anima che non conosce terapie. Certo, la frequentazione reciproca li aiuterà in ogni caso a convivere meglio con i rispettivi malesseri. E questo viene evidenziato da un finale totalmente aperto ad ogni sviluppo, apparentemente votato ad una conquista di serenità, ma in sostanza lontanissimo da un epilogo consolatorio. Ci sono nel film sequenze e momenti che non scorderò tanto facilmente. Per esempio Alice adolescente che, imbarazzata ed ansiosa, scopre confusamente il sentimento nei confronti di Mattia, oppure la stessa Alice adulta, duramente provata oltretutto dalle conseguenze dell'anoressia, che si denuda (in tutti i sensi, reali e metaforici) di fronte allo spettatore, vittima di una depressione che la possiede. E' con ogni evidenza un film aspro, scomodo, nulla a che vedere con le storie fin qui raccontate (ancorchè magistralmente) dai colleghi di Costanzo. E' un film che, pur senza assolutamente praticare pornografia del dolore, mette comunque il dolore al centro di tutto. E vorrei aggiungere che Costanzo ha evitato felicemente di tratteggiare un doppio sterotipo di "losers", o due bei perdenti da "figurina letteraria", ma bensì due esseri problematici autenticamente tormentati. Ciò che esce evidente è la grande COMPLICITA' che si crea tra queste due persone, perchè esse parlano lo stesso linguaggio, quello del dolore; una lingua che conoscono solo loro e che nemmeno i genitori sono in grado di decifrare. Siamo di fronte ad un cinema coraggioso, che non ha paura di mettere in scena la scarnificazione del dolore, anche nei suoi aspetti più sgradevoli, pagando lo scotto di apparire meno "commestibile" al pubblico delle multisale (nelle quali peraltro la Medusa lo ha distribuito a raffica, con quali esiti staremo a vedere...). In molti (compreso lo stesso regista) hanno accennato ad influenze tra cui evidente quella di Dario Argento. D'accordissimo, ma io aggiungerei anche il Salvatores più drammatico e noir. E, volando più alto, David Lynch per certi fotogrammi tendenti al grottesco. Poi qualcuno ha anche richiamato il Kubrick di "Shining". Infine, in pochissimi mi stupisce abbiano evocato le similitudini tra l'Alice adolescente e la "Carrie" di Brian De Palma. Ma questo film, allora, non ha nessun difetto? Quello principale di cui è stato accusato attiene ad una presunta "freddezza", al che mi sento di replicare che questa era la sola impostazione possibile per raccontare una storia del genere, ivi compreso -appunto- questo rischio. Scegliere toni più caldi o comunque più "partecipati", in qualche modo "tifando" per i due protagonisti nel tentativo di creare empatia fra lo spettatore ed essi, sarebbe stato un errore e avrebbe snaturato il senso di tutto. Piuttosto, io imputo al film un'altra "colpa" (peraltro insita nella riduzione cinematografica di un romanzo): cioè quella  di costringere lo spettatore (almeno per la prima metà) ad una visione a tratti faticosa. La vicenda infatti implica un frequente sovrapporsi di collocazioni temporali in cui lo spettatore forse fatica un pò ad individuare i ruoli nelle rispettive mutazioni anagrafiche. E veniamo ad un aspetto primario del film: il cast. Segnalazione di merito per due sorprendenti giovani attrici esordienti, Arianna Nastro (che di Alice da ragazza rende splendidamente tutto il senso di disagio e spaesamento) e Aurora Ruffino (una perfida ed ambigua compagna di scuola). Detto di un bizzarro ma gustoso quanto brevissimo cameo del sempre ottimo Filippo Timi, sento il dovere di tributare un caloroso omaggio a Isabella Rossellini, la cui performance è stata definita da qualcuno in rete (giustamente) "monumentale". In me non si è ancora spento il ricordo del ruolo della madre di Joaquin Phoenix nel sublime "Two Lovers", e in partcolare di quell'indimenticabile intenso sguardo finale che lei rivolgeva al figlio. Curiosamente, anche stavolta interpreta una madre con figlio problematico. E lo fa in modo splendido, che è un piacere osservarla recitare. Luca Marinelli, qui al suo debutto, se la cava egregiamente in un ruolo trattenuto ma intenso. Ma il palcoscenico è tutto per lei: Alba Rohrwacher, sulla quale mi pare il caso di spendere qualche parola in più. Confesso che io, seguendola dai suoi inizi, avevo dapprima maturato una certa antipatia nei confronti di questa esile toscanina così (come dire) "impostata", perfettina e quasi leziosa, con quel suo accento toscano quasi ostentato e mai corretto...Ma poi c'è stato lo stupendo "L'uomo che verrà" che me l'ha fatta avvicinare. E poi, a seguire, la grande svolta nella sua tecnica, col difficilissimo personaggio della moglie tormentata in "Cosa voglio di più" di Soldini. E per me è stata una folgorazione. L'ho adorata perchè ha avuto un coraggio professionale da leonessa: quello di stravolgere la sua tecnica d'attrice come un calzino. E dopo Soldini è venuto Costanzo. Il quale (lo abbiamo appreso da diverse interviste) le ha chiesto una cosa che non si chiede tutti i giorni ad una attrice: cioè lavorare, intervenire e modificare, operando sensibilmente sul suo corpo. E Alba lo ha fatto, fornendo prova tangibile di essere un'Attrice con la "A" maiuscola, nonchè (mi sentirei di aggiungere con espressione colorita ma chiara) una donna davvero "cazzuta", a dispetto del suo fisico esile. Qui offre una performance che a qualcuno ha anche dato fastidio proprio per una nudità cruda e disturbante: io, invece, per conto mio, la candiderei all'oscar. Brava Alba, si fa così: scelte belle e coraggiose, non i "teatrini" ruffianotti "alla Veronesi"!!   PS1: scusate se lo dico in fondo ma è importante, la colonna sonora la firma un Genio: Mike Patton.  PS2: Non ho letto il libro.
Voto: 10

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