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The Next Three Days

Regia di Paul Haggis vedi scheda film

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La recensione su The Next Three Days

di giancarlo visitilli
6 stelle

Ancora una volta, come in Crash (2004) meritatissimo Oscar come miglior film, la polizia invade le vite degli altri. La vita di John Brennan, che sembra perfetta, almeno fino a quando sua moglie, Lara, viene arrestata e condannata per un omicidio che sostiene di non aver commesso. A tre anni dalla condanna, John continua a battersi per tenere unita la famiglia, a crescere il loro unico figlio, e a svolgere il suo lavoro di insegnante in un college pubblico, tentando sempre di dimostrare l'innocenza della moglie. Quando la Corte Suprema respinge l'ultimo appello, John decide che è rimasta solamente una soluzione: organizzare l'evasione della moglie. Rifiutando di lasciarsi scoraggiare dalle scarse probabilità di successo o dalla sua propria inesperienza, John escogita un elaborato piano e si immerge in un mondo pericoloso e sconosciuto, mettendo in gioco tutto quanto per la donna che ama.

Paul Haggis è, prima di tutto, un grande sceneggiatore, anche se questa volta la stessa scrittura non è alla stessa stregua del film del 2004. Pare che Haggis, qui, si faccia più meditativo (“Quale parte della nostra vita è veramente sotto il nostro controllo? E se decidessimo di vivere in una vita costruita da noi?). Lo sceneggiatore di Eastwood abbandona i massimi sistemi e si concentra sul valore della libertà, scegliendo di partire da un soggetto non suo e di realizzare un remake, nello specifico quello del thriller francese del 2007 Pour Elle. Nonostante il regista scelga di allungare, di circa tre quarti d’ora l’originale francese, per tutti i centoventidue minuti di film non si perde mai il filo della tensione. Tuttavia, è evidente che certe esagerazioni, una su tutte l’eccessiva americanata della reazione da parte della polizia, fa pensare necessariamente ad un prodotto ch’è, appunto, puro intrattenimento. Non si pretenda di considerarlo, almeno questo, un film di denuncia del sistema di giustizia americano. Non lo è. Rimane un classico film di Paul Haggis, perché un film che intende la regia come un’organizzazione di sguardi, al ritmo vertiginoso e ad alta tensione, non privandosi affatto del pensiero (“Scappare è facile. Difficile è restare liberi”). Ricordandoci che lui rimane lo sceneggiatore più interessante del cinema americano, sebbene in questa sua terza prova da regista non dia il massimo di sé, soprattutto per non riuscire a trovare quel giusto equilibrio fra l’azione e i moti dell’anima dei protagonisti tutti.

Buona l’interpretazione da parte del maturo Russell Crowe. Molto interessante anche la colonna sonora, di Danny Elfman e con due brani originali di Moby, giusta e mai ridondante. Come sempre nel caso di Haggis, bisogna attendere gli ultimi dieci minuti di film, perché il vero film cominci. Nelle teste e nelle parole degli spettatori che, sempre, escono dalla sala con la sensazione di aver visto diversi film insieme. Merito di un grande scrittore, prima di tutto.

Giancarlo Visitilli

 

 

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