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Qualunquemente

Regia di Giulio Manfredonia vedi scheda film

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La recensione su Qualunquemente

di ROTOTOM
4 stelle

Di Davide Tomì
In principio era l’avverbio. Poi il bunga bunga ha messo la freccia e la realtà ha sorpassato con grande fragore ogni più spericolata fantasia. In mezzo a tutto questo, come un personaggio della commedia dell’arte dimenticato in un’ellissi temporale epocale, sta Cetto La Qualunque. Con il suo ciuffo piacione, la  retorica sgrammaticata e condivisibile  dall’elettorato a cui si rivolge per arretratezza culturale e siderale distanza da qualsiasi coscienza civile, dai modi sguaiati e smargiassi.  Un’iperbole nata in televisione e a stretto giro di posta trasformato, un po’ per caso, un po’ per convenienza ma soprattutto in incredibile sincronia con la cronaca, nel maître à penser del tristo tempo che la società attraversa. Cetto è riuscito dove altri hanno fallito, come un Pinocchio si è visto trasformato da una fatina sozza e puttana in debosciato vero e clonato in una classe dirigente dalla decandenza bizantina.
Tuttavia di tutto si può accusare Cetto tranne che di essere ipocrita. La sostanziale differenza del personaggio con i suoi omologhi del paese reale è una salvifica schiettezza nel suo sostenere tesi deliranti, onestamente contro la legge, il suo pensiero è quanto di più primordiale e selvaggio possa generare la mente umana sgravata dagli orpelli della società civile.
La differenza che eleva il personaggio di Cetto La Qualunque rispetto ai politicanti d’accatto di qualsiasi fazione, sempre impegnati a dare immagini del sé in netto contrasto con l’Io malefico che li abitano, è che egli crede fortemente in ciò che dice e non ha paura a dirlo. Proviene da una terra disastrata e abbandonata dalle istituzioni che ha seminato per secoli indifferenza, malagestione e soppraffazione per cui Cetto non è altro che un prodotto DOC della propria terra che porta avanti le cose in cui ha sempre creduto e che ha sempre ingenuamente recepito come giuste. A noi fanno inorridire, stimolano il riso e il disgusto ma sono lì, visibili e quindi affrontabili. Nulla a che vedere con la realtà. Cetto la Qualunque  in fondo è un’iperbole grottesca dell’uomo libero. Ove libertà ha acquisito nel tempo l’accezione distorta di “assenza di regole” germogliata nell’ignoranza.
Qualunquemente è quindi un film comico dalla caricatura grossolana a tratti divertente, abitato da personaggi frullati dalla televisione, dai film di gangster alla De Palma, e da un riferimento obbligato ma non del tutto calzante con un’attualità putrida che sgorga a fiotti di Tg in Tg a ribadire la sotterranea setticemia che ammala la nostra società. Il film si occupa del risultato non delle cause, e nemmeno ne aveva l’intenzione. Quella che era una caricatura ironica nata a Che tempo che fa, nel film di Giulio Manfredonia diventa corpo narrante di una pletora di macchiette dallo spessore drammaturgico che si limita al visibile, al pacchiano, e all’ostentazione volgare.
La scelta di fornire una storia vera e propria alle gesta di Cetto La Qualunque eleva il film rispetto alle produzioni spin off di comici/personaggi televisivi, Antonio Albanese è bravissimo in ogni caso, il suo personaggio è ricco di sfumature e passaggi che dal comico toccano corde drammatiche così come Sergio Rubini nella parte del guru della politica diventa la coscienza latente che prende corpo, soldi e scappa. Inorridito. Quello che lascia un po’ perplessi è però la scrittura generale del film, che avanza a singhiozzo, calando la mano sul grottesco spinto, altre volte scivolando sulla storia cercando sviluppi narrativi ma impantanandosi di tanto in tanto in ovvietà didascaliche. Il richiamo ai tormentoni televisivi che ne hanno decretato il successo è scontato ma fanno parte del personaggio, mentre sono imperdonabili alcune cadute di tono da Bagaglino e alcuni personaggi francamente disastrosi, vedi il figlio di Cetto la Qualunque, Melo, confidenzialmente Polpo – che ricorda fin troppo la “trota” Bossiana-. 
 
 O il personaggio del conduttore televisivo prezzolato e fazioso che risulta ostentatamente grasso nella caratterizzazione e con esso tutta la lunga scena del confronto televisivo tra lo sgargiante Cetto e il suo rivale, il grigio candidato degli onesti. Imbarazzante nella messa in scena e nella gestione dei tempi comici si trascina solo per la verve di Albanese ma rimane un memorabile momento scult. Di momenti come questi ce ne sono altri. Quello che non è chiaro è se il film ci fa o ci è.
Ad un certo punto si smarrisce la  nozione di ciò che è stato fatto volontariamente caricaturale rispetto a ciò che risulta caricaturale per incapacità di regia e scrittura. Il film soffre pesantemente questo equivoco e tutte le potenzialità ne vengono inevitabilmente smorzate.  Qualunquemente, protagonista di un successo clamoroso, scontornato dalla cronaca rimane un filmetto con alcune facce azzeccate e un mondo di retorica televisiva a rimorchio. Come spesso succede le intenzioni sono ottime, la realizzazione meno. Verrà proposto a stretto giro televisivo suscitando aspre polemiche tra fazioni grigie Vs. variopinte, utili solo per gli spazi pubblicitari ma rimane qualcosa che avrebbe potuto essere qualcosa d’altro. Anche se non si sa cosa.

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