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Il cigno nero

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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Enrique

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il cigno nero

di Enrique
6 stelle

Il cigno nero, ovvero un’anamnesi della fallita mediazione tra Es e Super Io.

 

Alla protagonista (Nina) viene, infatti, rivolta una richiesta che la cambierà per sempre: tradurre in passi di danza le sue pulsioni più trasgressive, la sua eccitazione repressa…quella linfa nera che - seppur da sempre ripudiata con fermezza - le scorre nelle vene e si manifesta fuori controllo: nei suoi baci rubati a caro prezzo, nelle sue piccole manie ossessivo-compulsive, nel chiuso del suo mondo. A Nina - da sempre, un perfetto cigno bianco - non viene chiesto, dunque, di “inventarsi” il cigno nero. Viene chiesto di esserlo.

E lei accetta.

Inizia, così, un percorso arduo per lei che ha fatto del compiacimento altrui la sua unica fonte d’ispirazione e protezione.

Un percorso doloroso per chi deve confrontarsi con un lato di sé (identificato nell’odiata Lily/M. Kunis) duro a morire.

Un percorso inevitabile per chi ambisca a un traguardo ambizioso - la perfezione umana - raggiungibile, però, soltanto a condizione di riuscire a ricongiungere i propri opposti “sé”.

Un percorso, ad ogni modo, alla sua portata…ma che ha un esito funesto. Abbandonati gli ultimi freni inibitori che la tenevano avvinghiata al suo mondo di cristallo, Nina - a furia d’escoriazioni, graffi, sfoghi, morsi e ulteriori gesti autolesionistici - si spinge ben oltre l’equilibrio tra il suo Super Io (la proiezione interiore delle sue costrizioni sociali) e il suo Es (l'inconscio).

 

Quadri si animano, piedi si palmano, vetri si conficcano, scarlatte voglie si manifestano…Nina aderisce ad un’ irreversibile trasfigurazione, ad una discesa allucinante verso una vivida illuminazione di oscura follia (M Valdemar). Nina si abbandona ad una catarsi macabra, liberatoria, totale…

E questo ha un prezzo. Il più caro di tutti: non tanto l’irrimediabile perdita del suo originario, virgineo candore, quanto la precarietà della (raggiunta) perfezione umana. La perfezione non è di questo mondo (Snaporaz68). Rimane, allora, giusto il tempo d’un ultimo sguardo…e anche quella è solo più un sereno ricordo (mentre le palpebre, pesanti, si chiudono per l’ultima volta).

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Sì è vero; il tema del doppio (e le affini tematiche psicoanalitiche) è stato già abbondantemente sviscerato da altri film, ma questo non significa che non possa essere nuovamente esplorato (anche, tutto sommato, discretamente bene). Piuttosto, ciò per cui va ricordato questo film (che pure, a tratti - come in occasione del cunnilingus - ho trovato alquanto eccessivo)  è l’interpretazione della Portman; bravissima fin dall’(ormai) lontanissimo Léon, forse a causa della sua angelica bellezza ha vissuto una stagione (in senso figurato) di alti e bassi che non le ha reso giustizia.

Il cigno nero le ha, invece, finalmente offerto un ruolo degno della sua statura; un ruolo che ha fatto emergere anche le sue fobie, le sue ossessioni, la sua capacità d’abnegazione (supadany)…il suo essere una donna fragile, audace…completa. Un ruolo che, se ha sporcato la sua immacolata immagine da brava ragazza, ha però mondato il suo curriculum vitae da non pochi indegni (per lei) flop. E’ lei l’etoile che illumina la scena. Lei incarna la perfezione (ma, si spera, non per l’ultima volta).

Dunque, per me Il cigno nero è proprio questo: il giusto tributo alla levatura artistica di N.Portman; non alla sua bellezza (quasi deturpata, anzi, da una condizione fisica di semi-anoressia), ma alla sua bravura. La pioggia di riconoscimenti (sacrosanta) viene dopo, a titolo di superflua (per me, non certo, ovviamente, per lei) conferma.

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