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Le ultime 56 ore

Regia di Claudio Fragasso vedi scheda film

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La recensione su Le ultime 56 ore

di mc 5
8 stelle

Che la storia raccontata in questo film sia altamente improbabile non c'è alcun dubbio, ma dobbiamo pensare che è una una fiction, benchè narrata con modalità a tratti vicina alla docu-fiction, e dunque accusare il film di essere "forzato" ed inverosimile è già un errore di partenza. In pratica succede che un colonnello reduce dal Kosovo, alla guida di un manipolo di fedelissimi che come lui hanno assistito alla morte di diversi commilitoni in seguito a contagio radioattivo da armi di guerra, decide di sequestrare un intero ospedale per dare estrema visibilità al drammatico problema. Ripeto: è un'ipotesi puramente fantasiosa, eppure, magari sotto altre forme meno enfatiche o magari anche più fantasiose, potrebbe anche accadere che qualche militare devastato dalla malattia (o qualche parente del medesimo) un giorno facesse qualche gesto estremo per evidenziare la questione all'opinione pubblica e ai media. Questo è solo uno di quegli aspetti che vorrei confutare a quei critici che hanno impostato le loro recensioni in chiave di "demolizione" di un progetto. Vorrei insomma smontare pezzo per pezzo quella supponenza preconcetta che ho ravvisato in più d'una recensione. Intanto partiamo dal concetto di "cinema di genere". Ora, è noto che l'Italia vanta su questo piano una cinematografia di tutto rispetto (dall'action al western passando per il poliziottesco) e tutto va bene fin che si tratta di onorare il passato. Anche perchè poi di registi che si cimentino in questo stile non è che ve ne siano molti e comunque quei pochi si limitano a tentare (per la verità con risultati assai modesti) di reinventare l'horror. Sull'horror poi si potrebbe aprire un capitolo a parte, sottolineando la sorpresa positiva in arrivo dal "rockettaro romantico" Federico Zampaglione, di cui le ultime notizie preannunciano voci entusiaste a proposito del suo "Shadow", ma al contempo ribadendo le numerose ciofeche che svariati giovani registi ci hanno appioppato negli ultimi due-tre anni. Dove voglio andare a parare? Intendo semplicemente dire che Claudio Fragasso è rimasto forse il solo onesto artigiano capace di confezionare un moderno "cinema di genere". E che questi suoi sforzi meriterebbero, da parte della critica, rispetto e attenzione. E invece molti recensori lo hanno già etichettato e bollato come rozzo, dozzinale, incapace di evolversi, ancorato ad un cinema anni '70 riproposto con sguardo da "veterano nostalgico". Ora, io ammetto che dovrei esser l'ultimo a parlare in quanto questo è (se escludiamo qualcosa di molto lontano nel tempo) il primo film di  questo autore in cui mi sono imbattuto, ma è pur vero che mi sono trovato di fronte ad un prodotto che di vecchio, rozzo, obsoleto, nostalgico o vintage, non ha proprio nulla. Certo, si vede benissino (ed è prerogativa di questo cineasta) un richiamo sincero ad un cinema di  qualche decennio fa, ma tutto ciò è elaborato in maniera molto vivace, frutto di una evidente attitudine vibrante, di un'urgenza artistica autentica. E questo può essere ancor meglio inquadrato nelle numerose interviste promozionali che Fragasso sta rilasciando in questi giorni. E in tali occasioni il regista dichiara senza tentennamenti il suo intento: coniugare un certo cinema d'azione anni'70 con un altro cinema (sempre di quegli anni, evidentemente molto ricchi di un certo "spirito libero" in tutti i campi dell'arte) di denuncia civile e sociale. Praticamente due tipi di cinema che oggi (passatemi il termine) nessuno ha più le palle per farli. Diamo dunque atto a Fragasso di essere, qui ed ora, probabilmente il solo e grande erede della gloriosa tradizione del cinema di genere italiano. Scelta, peraltro, di cui lui va giustamente orgoglioso. E poi Claudio è lui stesso un pò "attore". Appena si vede il suo "capoccione" fare capolino da uno schermo televisivo, subito ci si fa un'idea del "personaggio". Persona schietta, trasparente, sanguigna, decisamente uomo d'altri tempi e sicuramente un anti-fighetto. Qualche suo detrattore ci ha provato perfino a dipingerlo come reazionario, ma ogni sforzo è stato vano. Come peraltro si evince anche dal (chiarissimo) messaggio veicolato da questo film, Fragasso è tutto fuorchè un reazionario, ma proprio agli antipodi. E poi è anche ora di finirla di associare l'idea di "genere" solo alla rivisitazione dell'horror. Posso capire che rimestare tra splatter e zombies faccia molto cool, ma vorrei invitare i giovani allievi delle scuole di cinema a dedicarsi anche ad altri filoni, altrettanto interessanti e probabilmente anche più ricchi di spunti, dal poliziesco al film politico. Sulla sceneggiatura/trama ho già fatto qualche cenno all'inizio. C'è dunque questo piccolissimo ma determinato esercito d'una dozzina di militari più un colonnello, che espugnano un ospedale e danno inizio ad una estenuante trattativa (forti del detenere in ostaggio sia pazienti che personale medico) con le forze dell'ordine, in un crescendo di tensione e di snodi drammatici. Il punto centrale è che gli "occupanti" chiedono ai media e ai politici di dare forte evidenza alle loro inderogabili richieste, tutte riferite ad urgenti provvedimenti da prendere per contrastare malattie mortali conseguenti ad uso di armi radioattive. Da qui poi il pretesto per mostrare la muscolare determinazione di un poliziotto vice-questore dal volto umano che si muove su tre fronti (col rischio di una certa dispersione narrativa): 1) la lotta al crimine e alla delinquenza  2) le trattative coi militari che hanno in pugno l'ospedale  3) una situazione famigliare irrisolta da sistemare. Ma il nostro poliziotto (figura molto prevedibilmente malinconica e dolente come si conviene da Eastwood in poi) è talmente pieno di risorse da affrontare di petto ognuno dei tre settori citati. Fiction a parte, quello dell'uranio impoverito è un tema agghiacciante, se pensiamo a ciò che ha implicato, e tuttora implica: sacrifici di vite umane, militari ancora sottoposti a pesanti cure chemioterapiche, per tacere poi dei civili che risiedono nelle località teatri di guerra, anch'essi colpiti da tumori e con la tremenda preoccupazione di temere nascite di figli malformati. Uno scenario spaventoso. Che qualcuno (pochissimi per la verità) ha cercato di mettere sotto i riflettori, portando anche a qualche risultato (come ci avvertono le didascalie conclusive del film). Tuttavia il pessimismo è lecito, ed è difficile pensare che il prevalere di interessi economici/militari sui principi morali e sulla dignità degli Uomini possa venire definitivamente abbattuto. Il film ha un incedere appassionante che neutralizza la possibilità di noia. Nella fase iniziale assistiamo poi ad una concitata parentesi "action" a proposito di un autobus sequestrato da un paio di tossici balordi e violenti: è una delle sequenze d'azione più belle e spettacolari mai viste al cinema, girata da Fragasso con una maestria impagabile. Poi c'è tutto il capitolo famigliare del poliziotto che si cimenta nel tentativo -complice la figlia adolescente- di ricucire il logorato rapporto con la moglie. Quest'ultima parentesi che avrebbe potuto, in mano a un regista meno esperto, assumere i contorni del solito "siparietto amoroso" è invece disvelato attraverso un dignitoso percorso dei sentimenti (in pratica: nessun ricorso a lacrime facili). Quanto poi all'aspetto strategico-militare, le sequenze dell'accesso all'edificio da parte delle "teste di cuoio" sono girate con mano sicura, e d'altra parte ciò non ci può sorprendere dato che Fragasso conosce il cinema d'azione come le proprie tasche. Caso mai, quello che ci sorprende di più del regista, è il lato "civile-sociale" del messaggio veicolato. E qui devo confutare quanto affermato da qualche critico. Qualcuno ha sostenuto che la "denuncia" viene annacquata e stemperata nella presunta "palude" delle vicende famigliari del poliziotto. Io sostengo invece che la brava sceneggiatrice (Rossella Drudi) abbia dosato i vari aspetti del film con grande equilibrio. E, questo voglio dire con forza, non è affatto vero che lo spirito di denuncia sia collocato "in secondo piano". Ne sono testimonianza la ripetuta lettura del testo delle richieste avanzate dai militari occupanti, le già citate ed esplicative didascalie finali, e soprattutto l'accoratissimo, disperato, emozionante discorso finale del giovane paracadustista sardo: ecco, di fronte al grido di dolore pronunciato da quel ragazzo come diavolo si fa a dire che "Fragasso non ha avuto abbastanza coraggio"?  Ma cosa doveva fare di più?!  E allora la dico tutta. Sapete che penso? Che qualche critico avesse la recensione già preconfezionata, e basata sul seguente schemino: B-movie+dialoghi e recitazione imbarazzanti=film da non prendere sul serio. Ho al contrario trovato un film onesto, accorato e vibrante, non pretenzioso, girato con la "testa" di un regista energico e muscolare (dunque non un intellettuale) ma capace di un umanissimo sguardo che mette assieme la rabbia dei perdenti, l'umana pietà verso il destino degli Uomini, e un'ottica popolare e sanguigna di cui nel nostro cinema si sente oggi l'assenza. E veniamo ad un cast decisamente all'altezza. Gian Marco Tognazzi (facile -e stupido- definirlo monoespressivo: lui è granitico ed imperturbabile come ha da essere un alto ufficiale coinvolto in una missione estrema e senza ritorno). Luca Lionello (bravino, in molti hanno segnalato la sua somiglianza con Serpico). Barbora Bobulova (commovente, palpitante, meravigliosa, in un ruolo non facile). Nicole Murgia. Ecco, su di lei vorrei spendere due parole in più. Sarebbe stato facile farne una sorta di "pariolina sfigata" e invece (merito del "director") è una ragazzina dalla personalità delicata e profonda (c'è un'inquadratura di lei, quasi al buio, seduta immobile sul suo motorino, che aspetta...con la macchina da presa che le si avvicina...da brivido). Luigi Maria Burruano (grandioso caratterista siciliano). Simona Boriani. Forse la vera rivelazione del film. Non l'avevo mai vista recitare prima d'ora, mi hanno informato che proviene dalle fiction della tv. L'ho trovata sorprendente nell'utilizzare questo suo viso un pò "esagerato", un pò ingombrante nella sua conformazione estetica da "top model", per trarne invece un ruolo pieno di sentimento e di umanità. E per ultimo colui che esce dal film come un Gigante, uno degli attori (di cinema e teatro) più incredibili (e più misconosciuti) della scena italiana: il grandissimo David Coco. Si tratta di un attore immenso, che personalmente ho scoperto nella sua esaltante interpretazione di uno dei miei assoluti film di culto: "L'uomo di vetro". Concludendo. Cinema minore? di genere? serie B? Boh, a me importa solo che ho visto un bel film, dove la passione, l'azione e l'impegno civile si fondono con una buona armonia. Verrebbe da dire: roba d'altri tempi.
Voto: 8 e 1/2

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