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La nostra vita

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su La nostra vita

di FilmTv Rivista
8 stelle

Erano anni che Sandro Petraglia e Daniele Luchetti pensavano di fare un film sugli operai, la prima volta che li ho sentiti parlarne è stato a metà degli 80. Alla fine ce l’hanno fatta. La nostra vita è un film su un operaio che diventa imprenditore e lavora negli stessi prati bruciati dove sono i nuovi proletari di tutto il mondo che oggi ci fanno le case anche se nel loro Paese sono pediatri. Come il suo protagonista, Elio Germano, il film non smette mai di provarci e di andare avanti, con tutte le sue forze, anche quando tutto è contro di lui e le gambe cedono e le mani tremano per lo sforzo. Nel momento di maggior dolore, al funerale della moglie, che lo lascia con tre figli piccoletti, canta a squarciagola Vasco Rossi. È allora che decide di mettersi in proprio, ricattando il suo datore di lavoro che ha seppellito un rumeno caduto dentro la tromba dell’ascensore. Il film è pieno di emozioni e di ansia, della bella musica di Piersanti e delle adorabili occhiatacce di Stefania Montorsi (al suo film migliore), anche perché butta via sin dall’inizio, fuori dal set, ogni luogo comune da film: ci sono spacciatori disabili - uno dei migliori Luca Zingaretti visti in un film - che rischiano la vita e le botte per prestare dei soldi al protagonista; ci sono palazzinari devastati dal senso di colpa per aver fatto sparire un extracomunitario, capaci di improvvisa malinconia (Giorgio Colangeli), c’è addirittura Raoul Bova, fratello timido e sfigato del protagonista che non riesce a trovare una fidanzata (una scelta di casting geniale) che finisce tra le braccia di una rumena rotondetta e seducente il cui figlio, alto e fregnone, viene adottato da Elio Germano: nessuno è troppo buono o troppo cattivo, nessuno è puro o semplicemente corrotto, solo sfruttatore o solo sfruttato, nessuno riesce a essere solo una delle due cose, in questo film che sembra un film di Ken Loach girato da qualcuno capace dello stesso cinema che sa sussultare a ogni inquadratura come nei film di Cédric Kahn o Assayas. Gran film, grande Elio Germano: questo Dustin Hoffman della Bufalotta ha già una nicchia nel nostro cuore. E un cuore non possono non averlo anche i giurati di Cannes.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 20 del 2010

Autore: Mario Sesti

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