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Another Year

Regia di Mike Leigh vedi scheda film

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La recensione su Another Year

di leporello
8 stelle

La prima inquadratura, lo sguardo basso, arrabbiato e triste di Imelda Staunton, la sua richiesta ostinata a che le vengano prescritti dei sonniferi e basta (basta, nient’altro, vuole solo dormire), da’ subito la misura del film. Tom e Gerry (mai scelta più azzeccata: i visi di  Broadbent e della Sheen, complice forse la colorata locandina, sono davvero due visi da fumetto), con la loro vita, i loro rapidi sguardi di incrollabile intesa, sempre sorridenti anche quando sono seri, sono l’occhio attorno al quale il ciclone dell’insoddisfazione, della frustrazione, della paura di non farcela, della delusione e insieme dell’ostinazione a ritentare, gira per tutto il tempo di un anno, anzi, di un altro anno, che il tempo non si ferma mai, come il mare di Genova cantato da Paolo Conte. Leigh azzecca un racconto delicatissimo, semplice e profondo insieme. Scene come quella in cui  Mary/Lesley Manville (straordinaria, vera protagonista del film) si congeda da Tom, Gerry e loro figlio Joe, girandosi indietro mille volte, reiterando un “ciao” già ripetuto alla noia (ma mai la noia può attaccare Tom & Gerry…) come impossibilitata a separarsene, o la profonda osservazione di Ronn/David Bradley, il fratello di Tom, che parla a monosillabi e che a monosillabi riesce a riepilogare una vita intera di conflitti con suo figlio al funerale della moglie, o la simpaticissima Katie/Karina Fernandez (simpaticissime entrambe) che sprizza vitalità e positività da ogni poro (che “non sempre la vita è generosa”, ma tante volte sì) a bilanciare (anzi forse a ribaltare) un senso non certo negativo che il film esprime, sono tra gli elementi (e non sono tutti) che fanno di questo film giustamente definito minimalista il massimo possibile dell’abilità di introspezione di un regista. Sostenuto da un impeccabile cast, coadiuvato da un leggero, carezzevole quintetto di viola, violoncello, arpa, chitarra e oboe, Leigh accompagna lo spettatore in quattro stagioni di umanità vera, possibile, vitale (un funerale e una nascita, questa è la vita!), dove riconoscersi è facile quanto doveroso, con dialoghi pressochè perfetti, calibrati al meglio,  in un film in cui per una volta è la normalità  ad emozionare, dove gli unici effetti speciali sono un bicchiere di vino, una piantina di basilico, una partita a golf con gli amici, e il bisogno imprescindibile di restare aggrappati a tutto questo. Per un altro anno, almeno.

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