Regia di Mike Leigh vedi scheda film
Felici e infelici percorrono le medesime strade, lavorano nei medesimi uffici, siedono alla medesima tavola, gustano gli stessi vini, sono persino amici, insomma i loro destini si sfiorano, attraversano insieme stagioni ed anni, eppure non abitano lo stesso pianeta: ogni inquadratura, ogni dettaglio in “Another Years” è permeato da una tensione sotterranea, da una guerra tanto meno aperta e tanto più devastante fra l’immaginato paradiso degli uni e l’inferno degli altri. Tom (Jim Broadbent) e Gerri ( Ruth Sheen), una affiatata coppia di 50enni, lui geologo, lei psicologa, organizzano spesso nella loro villetta nei sobborghi di Londra barbecue e cene durante i weekend per amici, colleghi di lavoro e parenti accomunati da sventure varie: cosi periodicamente corpi e volti sfatti dalla depressione, dall’alcool o dall’obesità disturbano , senza mandarlo in frantumi, il ritratto della famiglia perfetta, accogliente e fortunata persino nel figlio trentenne Joe (Oliver Maltman) e nella di lui simpatica fidanzata Katie ( Karina Fernandez). Non si tratta però di una serenità esibita, essa pare al contrario nutrirsi di bontà di carattere e del resto Leigh ne fa emergere soprattutto l’aspetto visibile, come se l’apparenza dell’idillio ne fosse anche la sostanza autentica: nella casa in cui i padroni portano il buffo nome di un fumetto non ci sono segreti da disseppellire e il tempo scorre in una pacifica accettazione del succedersi indifferente delle stagioni; lì, come insegnava il saggio Epicuro nel terzo secolo avanti Cristo, la felicità coincide con la soddisfazione dei piaceri naturali e necessari, i cibi coltivati nell’orto, un giardino e pochi amici scelti. Tuttavia la disponibilità educata della serenità realizzata nella modestia diventa crudeltà insopportabile alla vista dei cuori in perenne tempesta, come lo sono Mary ( Lesley Manville ), la collega di Gerri, devota alla bottiglia e a un’ amore impossibile per il giovane Joe, il malandato ed obeso Ken (Peter Weigh), il nipote arrabbiato di Tom. Emerso dall’abisso il dolore entra nella calda cucina illuminata dai progetti dei fidanzatini e dai ricordi di papa e mamma, si guarda attorno smarrito, e cerca un angolo in cui nascondere la vergogna di esserci o mascherarla nell’allegria di un insulso monologo: a recitare la parte nel dramma sopravvivono unicamente i volti, ed essi abbandonati a se stessi sprofondano nello sconforto, si rianimano all’illusione poi ancora sprofondano, si risollevano e così fino a morirne. In “Another Year” la macchina da presa infatti non ha dubbi su quali siano le storie per le quali essa deve invocare la solidarietà conoscitiva dello spettatore: la pellicola si apre con l’apparizione di una donna di mezza età Janet ( Imelda Staunton) che rivoltasi al medico per avere sonniferi per le notti insonni, interrogata sul suo malessere riesce appena a dire che vorrebbe un'altra vita, poi tace, non la si vede più. Se l’arte imita la vita un film non può iniziare che da quel silenzio. mio blog: http: spettatore.ilcannocchiale.it
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