Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
Film con evidenti ambizioni filosofiche e non meno evidenti limiti nella conoscenza (o applicazione) della preziosa arte della narrazione. La Palma d'Oro ricevuta a Cannes grida ancora vendetta.
Esiste una regola non scritta nel mondo del cinema secondo la quale il film vincitore della Palma d'Oro a Cannes è in genere un filmone che spesso si accaparra pure l'Oscar al miglior film straniero, mentre quello premiato a Berlino con l'Orso d'Oro è un'opera di nicchia dai contenuti generalmente criptici e anestetizzanti, riservata ai vari Guidobaldo Maria Riccardelli del mondo. Scorrendo la lista dei premiati, nel primo gruppo troviamo, anche solo limitandoci agli anni più recenti, “Dheepan”, “Parasite”, “Winter Sleep”, “Amour”, e via di capolavori. Nella seconda, fatte alcune sporadiche eccezioni, spiccano invece titoli che sarebbero diventati poi noti solo al Riccardelli di cui sopra e -in maniera coatta- ai suoi dipendenti. “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti” dell'impronunciabile regista thailandese Apichatpong Weerasethakul ricevette la Palma d'Oro ma è purtroppo un film 'berlinaleano' al 100%. Il plot è riassumibile in due righe: lo zio Boonmee, sentendo avvicinarsi la sua ultima ora a causa di una grave insufficienza renale, ricorda a se stesso e a sua cognata in visita da lui in campagna, il male fatto negli anni in cui era nell'esercito. Tale incipit si presterebbe chiaramente a migliaia di possibili sviluppi, alcuni certamente ghiottissimi. Weerasethakul sceglie invece di mettere insieme una stringa di scene slegate tra di esse e nemmeno particolarmente brillanti quanto a qualità fotografiche, popolate da personaggi venuti fuori dal cilindro del prestigiatore. Il film l'ho visto in tarda serata. Pessima idea. Verso la mezz'ora di gioco al gusto bromuro, dopo l'entrata in scena del fantasma della moglie di Boonmee prima, e di un primate preso di peso da “Il pianeta delle scimmie” (l'originale anni '60) poi, la palpebra è calata. Il giorno dopo ho ripreso la visione in prima serata, deciso a resistere stoicamente fino al The End. Pronti via ed ecco una principessa orrendamente butterata che si accoppia con un pesce gatto... no, nessun errore di scrittura. O meglio l'errore c'è eccome, ma è dello sceneggiatore, non mio. Inutile che vi racconti altro, il film incede su questi binari (vale a dire, senza binari) per un'altra ora, poi ti alzi dalla poltrona e ti chiedi: “Ma chi l'ha premiata sta cosa qua?” Vado a controllare. Presidente di giuria Tim Burton. Ah, ecco. Non fraintendetemi, parliamo di un regista che soprattutto nella prima parte di carriera ha realizzato signori film. Ma parliamo anche dell'antitesi del pragmatismo. E per un momento ci ho invece visto Clint Eastwood a presiedere la giuria di quell'anno, che non solo non avrebbe preso in considerazione in fase di assegnazione dei premi un film del genere, ma probabilmente, giunto anche lui alla mezz'ora di gioco al gusto bromuro di cui sopra, avrebbe estratto la 44 Magnum. Ecco, questa è stata l'unica scena che m'è davvero piaciuta.
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