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Il medico della mutua

Regia di Luigi Zampa vedi scheda film

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La recensione su Il medico della mutua

di lamettrie
10 stelle

Un capolavoro sul lavoro. Attualissimo, nonostante i 51 anni di distanza; forse un evergreen, come l’argomento. Non è tanto l’affresco del mondo della sanità, ma di quello del lavoro, appunto: dove un precariato spesso senza fine, e senza provvedimenti politici adeguati, porta spesso alla miseria, alla disperazione, e alla lotta di tutti contro tutti. La competizione per la sopravvivenza è dipinta con smalto assoluto da uno Zampa che (pur sovente bistrattato) qui nel ’68 tocca i vertici, come già aveva fatto almeno con “L’arte di arrangiarsi” nel ‘54, e con “Il Vigile” nel ’60, e sempre con Sordi.

L’incertezza economica porta l’individuo a interpretare il proprio ruolo lavorativo come la tessitura di una strategia continua, che richiede grande dispendio di energia psichica: mentire, calcolare, barare, impedirsi ogni tratto di spontaneità, richiedono grande fatica. Il mondo dell’occupazione è teatro: non si può non recitarvi se si vuol far carriera, ben consci che si tratta di apparenze, equivoci da maneggiare e pilotare, impressioni da lasciar intuire… Sordi è perfetto in questo personaggio orrendo, scafato, intelligente: dove la sapienza non sta tanto nel lavoro, quelle per il quale si è studiato tanto magari, come nel suo caso; ma sta soprattutto nella consapevole, costruita e coerente falsità con cui si intessono le relazioni sociali, al solo fine del proprio tornaconto, il quale è d’immagine, ma soprattutto di potere e dunque economico. Da brividi è il modo risoluto con cui sbologna le due fidanzate, dopo averle usate in precedenza. Ma più progredisce la carriera, come desiderava, più è triste: la situazione umanamente peggiore è quella del successo, in cui è attorniato da maggiore sofferenza, dei rapporti patologici con madre e moglie, e da grande solitudine. Inoltre quel tipo di successo non permette pause: più va avanti, più lui sta male, fino al collasso, fisico e psichico. L’uomo che ha finalmente quella ricchezza che ha sempre agognato, è dunque alienato, sempre più triste: e non può permettersi di scendere da quel treno, perché altrimenti i suoi avversari approfitterebbero immediatamente della minima battuta d’arresto. Una vita in perenne tensione, maledetta.

La sceneggiatura (di Sordi e Zampa stessi, più Amidei, che sfruttarono un romanzo che destò scandalo nella sua veridicità) mette in mostra entrambi i corni del problema – lavoro: logora lavorare poco; per l’incertezza, ma logora non di meno lavorare tanto, perché obbliga a lavorare troppo.

La concorrenza sul lavoro è dipinta con toni darwiniani, rielaborati sul parametro della mente umana: servilismo, disonestà, menzogna sono tutti mali consapevoli e necessari, senza i quali si è scavalcati da personaggi più abietti di sé; e non ce lo si può permettere. Ogni singolo centimetro della carriera va costruito a tavolino, con una concentrazione ossessiva, degna di quella che Clausewitz suggeriva ai generali in battaglia.

Il protagonista deve essere disposto a fare di tutto, a tradire la morale, e non avere una morale: Faust trasteverino, non deve mai provare vergogna. I simili sono trattati con indifferente cinismo, al di sotto della patina dell’affabilità e della bonomia (solo retoriche, e funzionali a creare attorno a sé una fasulla aura di credibilità e simpatia); questi simili sono le fidanzate, i colleghi, (amici non ne ha), ma anche (ed è più grave) i pazienti, trattati come merce da quantificare. Ma anche questi sono spesso meschini: memorabile è qui il siciliano con undici figli (interpretato dal sempre bravissimo Tano Cimarosa) che è tanto ignorante e sfaccendato, quanto è attentissimo e infallibile nello sfruttare i modi per farsi mantenere dallo stato da nulla facente.

Ma la vera protagonista del film è forse la madre di Sordi, straordinariamente messa in scena da Nanda Primavera. Lui infatti esegue da burattino i voti della madre, che, pur nella apparente rispettabilità, è laida, ostinata, arrogante, disumana nel suo arrivismo proiettato sul figlio, con toni da bestialità verghiana. Ma non meno eccellente è la recitazione della seconda fidanzata, Bice Valori. Tutti comunque recitano benissimo in questo che è l’apoteosi dell’opportunismo, male tipicamente italiano (ma non solo).

Tutto viene accompagnato dalla splendida colonna sonora di Piccioni, che ben si accorda con i tempi e i modi mirabili del film, cui è stata tagliata gran parte dei particolari, che comunque si possono intuire bene, tanta è la profondità di ciò che si vede.

Un classico che avrà per di più la fortuna di un episodio successivo che sarà all’altezza, caso raro. Un classico che parla dell’uomo di tutti i tempi, e dell’Italia di sempre, per suggerire la necessità e le vie di un miglioramento nella sfera del lavoro, ma anche della società tutta.

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