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Biutiful

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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GARIBALDI1975

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La recensione su Biutiful

di GARIBALDI1975
8 stelle

Un film che ha un CUORE che palpita di CRUDA REALTA'. Bellissimo questo film, che merita di essere visto anche soltanto per il suo messaggio: è un film sulla vita e su come diventa più preziosa quando sta per spegnersi gradatamente.
 
 
Dopo Babel, Inárritu ha voluto fare un film su un solo personaggio, con una sola città, nella sua lingua nativa. C'è sempre Javier Bardem ed interpreta il protagonista che si chiama Uxbal e sembra essere stato pensato apposta per l’attore. La città è Barcellona e Uxbal è un uomo che sta morendo. È un film triste e denso di significato,  è un film sulla vita e su come essa diventa più preziosa quando lentamente sta per spegnersi.
 
 
Cosa fa un uomo negli ultimi giorni della sua vita? Inárritu risponde a questa domanda con questo significativo film e lo fa a suo modo: convincente e commovente allo stesso tempo.
 
 
Il luogo: Barcellona, una metropoli, come ogni grande città d'Europa, dove anche lì ci sono dei quartieri ‘nascosti’ ai turisti, dove ivi vivono persone che hanno esistenze marginali e precarie. Sono lavoratori clandestini provenienti dall’Africa e dall'Asia, sfruttati, che cercano soluzioni per sopravvivere e per aiutare economicamente i loro familiari rimasti nei paesi d'origine.
   
Il protagonista, di nome Uxbal, è un castigliano che vive nel quartiere multietnico di Badalona. Uxbal vive come faccendiere nel mercato del lavoro nero, fa assumere lavoratori cinesi e africani che operano per le strade vendendo illegalmente le merci che essi stessi producono in condizioni disumane. Egli incassa delle percentuali sui soldi che i padroni cinesi percepiscono e paga membri corrotti della polizia per ‘far chiudere’ entrambi gli occhi alle forze dell'ordine. Fornisce operai edili cinesi da far lavorare nei cantieri, privandoli di ogni diritto lavorativo. Trova topaie per farci dormire i lavoratori extracomunitari. Uxbal è uno sporco faccendiere che per sopravvivere non esita a far parte di questo sistema perverso di sfruttamento del prossimo, spesso più svantaggiato di lui. Questa è la sua immagine, così come lo spettatore la percepisce all'inizio.
 
 
Una vera specialità del film, molto rara da vedere al cinema, è che Uxbal ha un altro modo insolito di fare soldi: può sentire le voci di coloro che sono morti da poco e trasmette i loro messaggi ai parenti in lutto che ricambiano con denaro. In un primo momento questo sembra un elemento soprannaturale estremamente strano,  astruso e stravagante in una storia che si riferisce alla moderna realtà sociale e politica dell'Europa. Ma invece è un tema pertinente, perché questa venatura plasma il racconto, dalle scene pre-titolo alla conclusione in cui queste stesse scene vengono riprodotte da un angolo leggermente diverso, offrendo una nota di speranza in quella che altrimenti sarebbe una tragedia desolante.
 
 
Tante persone dipendono da Uxbal, ma più di tutti i suoi due piccoli figli. Lui lotta per essere un buon padre per loro, così come immagina sia stato suo padre, che sogna di frequente ma non ha mai conosciuto. La madre dei suoi bambini è Marambra (Maricel Alvarez),  una depressa bipolare, senza troppi scrupoli, che si arrangia e si vende come massaggiatrice per prostituirsi. Uxbal ha ottenuto l'affidamento dei figli, ma dopo la diagnosi di cancro tenta di ricostituire un'unione familiare, che sembra irrimediabilmente destinata a fallire.
 
 
Come il cancro cresce dentro Unxbal, così anche la storia si sviluppa insieme alla profondità del protagonista, che diventa ogni giorno sempre più disperato per provvedere un incerto futuro ai suoi figli, per aiutare quei poveri disgraziati extracomunitari che vivono intorno a lui e per i quali si sente responsabile; il tutto sembra accadere per senso di responsabilità del protagonista, per rimedio all'assenza forzata e per trovare una accettazione personale alla morte. I tragici eventi di queste vite disperate si verificano senza rimedio; Uxbal avverte l'urgenza di sistemare le cose e di aiutare le persone vicino a lui prima che sia troppo tardi, ma tutto accadde inesorabilmente e fa riflettere quanto sia spietata la morte.
 
 
Come in Babel, c'è un filo di umanità comune che attraversa questo film, questo è un pensiero molto buono, genuino e molto ben rappresentato. Le persone vengono dipinte per essere egoiste e inadeguate, ma un ‘aiuto’ arriva sempre anche da fonti inaspettate. Questo è un altro bellissimo messaggio di speranza, che sa tanto di quel bel e positivo fatalismo che ci aiuta a vivere meglio e a guardare il futuro con più ottimismo! Molti dei personaggi sono interpretati da gente comune, non attori, che hanno avuto vite parallele al mondo raffigurato nella pellicola. Molto brava è una donna senegalese, IgE, che in un primo momento appare come personaggio minore, ma diventa sempre più fondamentale nella storia. Lei è interpretata da Diaryatou Daff, che nella vita reale ha subito varie violenze, comuni a molte donne dell’Africa.
 
 
Il film rimane molto intimo. Ma c’è una sequenza drammatica nel mezzo del film che mi ha profondamente colpito e, paradossalmente, è allo stesso tempo un evento con il quale molti di noi hanno familiarità. Mi riferisco alla scena in cui si vedono giovani africani che vendono per strada, sui marciapiedi, borse ai turisti quando sopraggiunge un raid della polizia. Tutti scappano via, i tavolini dei caffè saltano in aria, il traffico impazzisce, i veicoli sterzano e sgommano in un rondò di confusione, i turisti sono presi dal panico e vedi africani, poliziotti e tutta l'umanità con loro che sembrano fuggire da una paura che li pervade. È una scenad'azione rapida ma rappresenta una realtà impressionante. Bravissimo Inárritu nell’uso della telecamera anche nell’inseguimento tra i vicoli, tra le meglio girate. Iñárritu, che questa volta è stato sia scrittore che regista, dimostra la sua capacità nella gestione delle scene intime quanto nelle sequenze d'azione. Dimostra ancora una volta che egli può trarre spettacoli meravigliosamente naturali anche da sguardi e storie comuni.
 
 
Javier Bardem è il pilastro del film, presente in quasi ogni scena. Meravigliosamente interpreta Uxbal dipingendolo inizialmente come un padre chiuso e controllato, ma poi gradualmente diventa più fiducioso e   saggio, sino al punto in cui è capace di perdonare qualsiasi mancanza altrui e lasciarsi vedere come non più indispensabile, soprattutto per il bene dei suoi figli. 
 
 
Se state giù, se siete sottotono non è un buon momento per vedere questo film, alcuni potrebbero sentirsi sconfortati  dal vedere gli sforzi di un padre che sa che sta per morire. Ma qualora foste dell’umore giusto e in grado di reggere un racconto profondo, che va nell’intimo allora vi raccomando questo film che ha un cuore che palpita di cruda realtà
 
P.S.: il titolo che c’entra? Anche quando abbiamo le migliori intenzioni, non sempre otteniamo con il bene che le cose vadano bene (secondo la mia interpretazione, il senso del titolo va letto così).
 
Voto: 8.

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