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Shadow

Regia di Federico Zampaglione vedi scheda film

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La recensione su Shadow

di ROTOTOM
8 stelle

David militare americano di ritorno dall’Iraq sceglie una località montana in Italia vicino a Tarvisio per trascorrere un periodo di vacanza e dimenticare gli orrori della guerra. Facendo biking si imbatte in Angelina una solitaria turista francese, ben presto i due vengono aggrediti da una coppia di bracconieri decisi ad ammazzarli per aver disturbato l’attività di caccia. Nella fuga i quattro capitano tra le grinfie di un isolato psicopatico che comincia senza nessun motivo a torturarli selvaggiamente.

Film corto, secco, deciso. Svuotato da qualsiasi sovrascrittura “Shadow” è un film di genere puro in cui un tizio imboccando la via buia della malasorte capita, nonostante l’avvertimento di rito, nel più spaventoso degli incubi. I film di genere sono costellazioni di mondi che si assomigliano discostandosi tra loro di pochi dettagli, quindi non è sacrilegio pescare da un immaginario già consolidato per costruire una storia personale poiché il genere sopravvive grazie alla reiterazione dei meccanismi e delle leggi che regolano il mondo che propone.

Federico Zampaglione, leader del gruppo pop italiano Tiromancino e appassionato da sempre di cinema dell’orrore questa cosa l’ha capita benissimo rispolverando e mischiando cliché del cinema horror anni ‘70- ‘80 con le suggestioni del neo horror contemporaneo. Prima parte all’aperto, antefatto che presenta il bosco perdere la naturale connotazione bucolica per assurgere a luogo misterioso gravido di promesse spaventose. Si fondono le suggestioni di “Un tranquillo weekend di paura” (1972)  con una seconda parte più cupa e cimiteriale nella quale l’influenza del torture porn di “Saw” o “Hostel” è chiara e dichiarata mentre sprazzi di gotico (porte che scricchiolano e candelabro, mummie e corridoi sotterranei) omaggiano Mario Bava. Argento è ben citato in inquadrature che richiamano le trappole visive di tanto tempo fa, retaggi nostalgici di un maestro ormai protagonista di un tracollo artistico inarrestabile e nell’uso delle musiche (del gruppo The Alvarius e dello stesso regista) suggestive, incalzanti e potenti “a passo di Goblin”. Simonetti ha seminato germi fecondi.  

In effetti “Shadow” è qualcosa di già visto girato molto bene, il senso di smarrimento negli spazi aperti prende carne nella claustrofobia dell’antro del mostro, creatura silenziosa e crudele interpretata dall’inquietante e attore svizzero Nuot Arquint, ossuta e spettrale maschera di morte. Non abbonda il sangue, Zampaglione non indugia sui particolari splatter preferendo dilatare l’atmosfera in un non visto evocativo giocato sui suoni e sui rumori, chi è abituato alle aberrazioni contemporanee giapponesi, “Audition”(2000) di Takashi Miike e soprattutto francesi come “Martyrs”(2008) di Pascal Laugier e “Frontiers”(2007) di Xavier Gens, non subirà alcun trauma. Proprio con il film di Gens “Shadow” ha il punto di contatto proponendo la protagonista femminile Karina Testa come ponte ideale verso il mercato internazionale. Grosso pregio del film è quello di non diluirsi in dialoghi esplicativi, parlato molto poco e con cognizione di causa evita la trappola della recitazione amatoriale e delle incongruenze verbali preferendo una chiusa sbrigativa e sorprendente.

Proprio il finale delegato alle immagini ribalta il senso di quanto visto fino a quel momento costringendo lo spettatore a rielaborare in chiave metaforica una storia sospesa tra l’assurdo e il non-sense.  Ottimo stratagemma narrativo – del quale non riveliamo nulla -  anch’esso non nuovo ma funzionale a garantire un’ inaspettata sorpresa.  

Un buon esordio horror quello di Zampaglione la cui attitudine alla parte oscura dell’anima era parzialmente sgorgata in “Nero bifamigliare”(2007) il suo primo film stravolto da pavide esigenze produttive verso un prodotto senza un’identità precisa.  

“Shadow” è un’operazione meritevole di attenzione anche e soprattutto per il coraggio e lo sforzo che la produzione ha dovuto sostenere per rinverdire la tradizione del cinema horror italiano che all’estero ancora oggi – incredibile a dirsi -  riscuote credito pur non esistendo di fatto quasi più. I vari Freda, Bava, Fulci, Deodato, Argento sono considerati i creatori  dell’estetica di un genere  ispiratore di autori del calibro di Tarantino, Burton, Roth e di tutta una generazione di giovani cineasti che hanno trovato nelle suggestioni italiche l’ispirazione per il proprio cinema della paura. Venduto all’estero e vincitore di numerosi premi nei festival dedicati al genere, su tutti il Fantasy Horror Award di Orvieto, “Shadow” può aprire una pista nuova per tutti i talenti che latenti operano nell’underground del cinema di genere, una generazione di giovani e sanguinari bravi ragazzi che non trovano ne’ soldi e tanto meno distribuzione mentre il cinema nostrano si arrotola nell’ horror vacui di paturnie generazionali, filmetti da  quattro mura, un tinello e un paio di corna e altre oscenità simili. Basta crederci.

 

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