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Shadow

Regia di Federico Zampaglione vedi scheda film

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La recensione su Shadow

di mc 5
8 stelle

Davvero sorprendente quest'opera seconda del bravo Federico Zampaglione. A dire il vero si tratta di una sorpresa da tempo annunciata. Circolavano da mesi voci e indizi che parlavano di un prodotto carico di suggestioni e di aspettative. In particolare era la rivista "Nocturno" a farsi veicolo di un'attesa entusiasmante, tra interviste, notizie dal set e generose anteprime. Seguo da anni questo mensile e lo apprezzo come rivista di cinema seria e competente, e dunque ero certo che se aveva quasi sponsorizzato un'opera sapevo di potermi fidare che si sarebbe rivelato un prodotto di qualità. Conobbi Zampaglione nel corso di un breve colloquio dopo un concerto del suo gruppo "Tiro Mancino" ormai molti anni fa, in un club della provincia di Reggio Emilia. Furono pochi minuti e non si parlò affatto di cinema, ma a me bastò per farmi un'idea della personalità di colui che avevo di fronte, una persona fondamentalmente entusiasta, un istintivo, e comunque un artista autentico ed intellettualmente curioso. Da quel giorno lontano, parecchia acqua è passata sotto i ponti. Negli anni a seguire, Federico incassò crescenti successi professionali, che culminarono in una affermazione popolare a Sanremo col conseguente dilagare di una notorietà di massa, singolare per uno come lui che proveniva, musicalmente parlando, dalla scena indipendente dell'underground italiano. Ciò provocò probabilmente in lui una sorta di strano corto circuito che lo portò ad abbandonare per qualche tempo l'attività creativa di musicista per elaborare nuovi impulsi artistici ed approdare a quella deriva cinematografica che in questi giorni lo vede felicemente protagonista. Mi accorgo che sto parlando come si trattasse di un'opera prima. Ma forse il mio è un errore che ha a che fare con l'inconscio, dovuto al fatto che non ho amato granchè il debutto di Federico nel cinema, avvenuto con quel "Nero bifamigliare" che ho sempre considerato come un esordio irrisolto, incerto e dominato da ambizioni che si rivelarono poi inespresse alla prova del prodotto finito. Un passo più lungo della gamba? Può darsi. Ma evidentemente, dopo quel parziale insuccesso di critica e di pubblico, Federico si dev'essere messo a studiare sul serio da cineasta, a documentarsi, ad elaborare nuove idee, a sviluppare nuove capacità e nuove attitudini. Lo prova il fatto che ora ritroviamo un artista decisamente CRESCIUTO, un cineasta maturo, più consapevole dei propri mezzi. Uno che -e le immagini di "Shadow" lo testimoniano continuamente- muove la macchina da presa come se non avesse fatto altro prima nella vita, generando nello spettatore piacevolissime sensazioni. Personalmente, pur senza esserne fanatico, sono frequentatore da anni del genere horror ma, da spettatore assai critico, non mi accontento più di prodotti banali o troppo derivativi o troppo spartani. E chi mi conosce sa quanto io abbia il dente avvelenato verso chi, in questo ambito, non fa che rimasticare chiavi stilistiche logorate o soggetti estenuanti nella loro ripetitività. Io sono poi dell'idea che due sono le strade percorribili. O si fa dell'horror classico, però col presupposto di saperlo fare bene, riuscendo ad illuminare situazioni già note con una luce che regali comunque suggestioni ed inquietudine. E' una strada difficile anche questa, perchè richiede grande talento il percorrere sentieri già spianati da altri, però apportando contributi fortemente personali. Oppure c'è una seconda strada che però è ristretta ad un pugno d'autori che riescono (secondo me spesso "per caso" o per un felice attimo di ispirazione colto al volo) a creare capolavori che battono strade davvero nuove. Chi legge questi miei scritti sa già che voglio andare a parare all'indirizzo di quel "Martyrs" che io considero emblematico di un inedito modo di cimentarsi con questo genere, che implica una scelta di contaminare le consuetudini splatter con un rinnovato senso di spiritualità, e anche di filosofia, che può rappresentare per l'horror una delle possibili nuove derive, fertili di suggestioni nuove e, quel che più conta, sinceramente INQUIETANTI. Il "fenomeno" Zampaglione io credo che possiamo collocarlo nella prima delle due casistiche evocate, quella più "professionale" e meno "anarchica". Anche se ciò non esclude che negli anni a venire (dopotutto Federico è giovane e ha tutta una carriera davanti a sè) egli non possa riproporsi attraverso esperienze più azzardate ed incursioni più sofisticate nel cinema del mistero e della paura. Il film ci viene proposto come un'opera sostanzialmente divisa in tre parti. Una sorta di lungo prologo in cui i protagonisti del film ci vengono presentati, poi il cuore della pellicola, che si svolge all'interno di una classica "casa da incubo", ed infine la parte a mio avviso più interessante. Ecco, se mi è consentita una critica (la sola che mi sento di avanzare al film) io ho individuato in questa ultima porzione delle potenzialità che avrebbero meritato un maggior sviluppo in sede di sceneggiatura. Praticamente avrei prolungato di almeno un quarto d'ora (con espedienti tutti da immaginare) ciò che si vede compiersi dentro quell'ospedale. E del resto non sono il solo, leggendo le recensioni, ad aver percepito l'idea di un finale troppo frettoloso. Ciò detto, aggiungiamo che, come in un gioco di scatole cinesi, questa parte conclusiva ne racchiude un'altra (quella delle memorie di guerra in cui il protagonista rivede scorrere come un film un triste episodio dal fronte iracheno che lo vide al centro di un evento altamente traumatico). Ma tutto questo meccanismo non basta a Zampaglione, che ha voluto aggiungere un tocco conclusivo che io ritengo un autentico colpo da maestro. Quella inquadratura finale, con la macchina da presa che allarga il campo visivo, in pochi secondi ci mostra un'immagine che procura allo spettatore un effetto di inaudita spettacolare emozione. Qualcosa che va oltre il "twist che non t'aspetti", un colpo di genio. E che contribuisce a fare di quest'opera un horror prima di tutto non banale. Il film mi ha conquistato fin dai titoli di testa. Musiche bellissime, tipiche da "intro" al genere horror, accompagnano stupende immagini iniziali di montagne e boschi infiniti, con un colpo d'occhio davvero stupendo (che ti fa venir voglia di visitarli veramente quei posti). E poi, subito dopo, ci si immerge nella vicenda, con l'attrazione reciproca che nasce tra David e Angeline, complice la passione comune per le lunghe pedalate solitarie a bordo di una mountain-bike. Contemporaneamente, entrano in scena due classici energumeni balordi da film horror, naturalmente violenti ed aggressivi come si conviene. Poi, dopo inseguimenti e fughe a perdifiato tra gli alberi, si arriva fatalmente alla classica "casa di morte". E fra quelle mura se ne vedono di tutti i colori quanto ad efferatezze e dettagli sadici, tanto che più d'uno ha evocato la "macelleria" impostata da Eli Roth in "Hostel". Anche se qui, a fare la differenza, entra in scena un essere davvero stupefacente. Qualcuno che -ci giurerei- perfino lo stesso Roth invidierebbe al collega Zampaglione. Alludo naturalmente al personaggio chiamato "Mortis", una "sagoma" talmente impressionante che è impossibile trovare le parole per raccontarla. Si tratta di un "freak" non solo ributtante ma soprattutto trasudante viscidume in una maniera che lascia a bocca aperta. Naturalmente quel che segue sono scene di torture e di strazio, anche se l'aspetto forse più interessante sono i "souvenir" e i trofei che il simpatico Mortis conserva e cataloga nella sua dimora, compresi deliranti documenti filmati che evocano la follìa del nazismo.   A un certo punto assistiamo ad un tentativo di fuga del giovane David con un esito però che viene lasciato in sospeso, perchè a quel punto scatta il meccanismo del "twist ending", che letteralmente trasporta di colpo lo spettatore in un'ambientazione completamente diversa, per  quella sequenza che io (come prima accennavo) avrei prolungato di qualche minuto. E questo , sia chiaro, senza nulla togliere ad un'ottima sceneggiatura scritta a sei mani e a cui ha contribuito lo stesso Zampaglione. E infine, quasi sui titoli di coda, quell'inquadratura finale che vale, da sola, il prezzo del biglietto. Per quanto attiene al cast, da segnalare il protagonista Jake Muxworthy e, naturalmente, quel gran simpaticone di "Mortis", al secolo Nuot Arquint. Ma due paroline in più le spenderei volentieri per la meravigliosa Karina Testa. Qui lei ha sì, un ruolo importante, ma in realtà dopo l'inizio del film Karina scompare per poi riapparire solo nella sequenza conclusiva. E allora vorrei ricordarla soprattutto come protagonista dell'horror francese "Frontiers", in cui lei dà carne (e soprattutto sangue!) ad uno dei ruoli più drammatici e disperati che io abbia mai visto al cinema, mostrandosi capace di un istrionismo pazzesco. E poi, se mi è consentita un'opinione più da maschietto che da cinefilo, lei ha un viso di una dolcezza e di una grazia femminile davvero irresistibili. E vorrei concludere con una riflessione personale. Chi mi conosce sa bene quanto io abbia da sempre un debole per il cinema francese. Penso che i nostri "cugini" possiedano una marcia in più, dalla commedia al noir, attraversando tutti i generi. E non sono certo il solo a sostenere che proprio i francesi hanno dato il massimo contributo alla rinascita di un genere (l'horror) che pareva incamminato verso un inesorabile declino. Parlo di quei giovani pieni di talento che si chiamano Xavier Gens ("Frontiers"), Pascal Laugier ("Saint Ange " ma soprattutto il seminale ed imprescindibile "Martyrs"), Alexandre Aja ("Alta tensione", regista però ormai definitivamente scippato alla Francia dagli americani). Ecco. Qui ed ora, possiamo affermare che anche noi italiani siamo adesso in grado di affiancare con orgoglio un nome accanto ai suddetti registi: quello di Federico Zampaglione.
Voto: 9

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