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Happy Family

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Happy Family

di scandoniano
2 stelle

L’ultima fatica di Salvatores è una fatica anche per lo spettatore. Happy family sarà anche basato su una sceneggiatura finalista nientemeno che del Premio Solinas 2008, sarà anche un film che si sforza d’essere originale, avrà anche nel cast nomi di richiamo come Abatantuono, Buy, Bentivoglio, De Luigi e Signoris, ma è decisamente un prodotto mal riuscito. Le sperimentazioni di Salvatores, iniziate con Nirvana, culminano in questo insulso prodotto, che relativamente al plot scimmiotta i vari Kauffman e Gondry, che hanno ragionato intorno al concetto di metacinema molto prima e molto più profondamente che l’accoppiata Salvatores-Genovesi.

Ma non è solo la storia a sapere di dejà-vu: anche gli intermezzi buffi e quasi distonici (il massaggio cinese, il videoclip seppia durante il concerto “notturno”, dunque didascalicamente con immagini della notte), sembrano copiati dai film di Aldo, Giovanni e Giacomo (che perlomeno provano ad infilare le loro storielle di contorno sottoforma di sogno, racconto, barzelletta); e pure il finale, che sfuma sui titoli di coda somiglia moltissimo al finale, mi si passi il gravissimo spoiler, de “I soliti sospetti”. Tornando alla storia, rabberciata, fintamente originale, che esplora il rapporto tra autore – ovviamente, perennemente in crisi - e suoi personaggi, con un dentro-fuori dalla realtà metacinematografica, questa pare avere il suo culmine a metà film, quando il regista spettacolarizza la malsana idea di chiudere prima (e male), la storia delle due famiglie coinvolte: alla parola fine (dell'autore), Salvatores avvia fittizi titoli di coda, provando a spiazzare lo spettatore, ma finisce per fargli cadere le braccia, al grido disperato, di “Che senso ha?”, col tono con cui Nanni Moretti descrive la sua esperienza al cinema a vedere “Strange days”. Il film parla soprattutto di paure, buona parte delle quali vengono impersonate dai personaggi protagonisti, l’indegno De Luigi compreso, e marginalmente di amore. Novità: la Buy dopo un ventennio di onorata carriera nelle fila delle depresse croniche, stavolta è sicura di sé (scambiandosi il ruolo con Carla Signoris che interpreta quella ansiosa e timorosa); Bentivoglio al solito è poco più che scenografia, Abatantuono non fa più ridere; i due ragazzini che paiono protagonisti non sembrano all’altezza, su De Luigi sorvoliamo per pura pietà. Cameo (necessario?) di Ugo Conti (sui camei, si esprime volutamente in senso spregiativo il personaggio di Abatantuono poco prima dei titoli di coda). Colori ingiustificatamente sparati (sembra stare nel mondo di Amelie Poulain). Un’esperienza miserrima, che non ha un perché. Gran delusione.

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