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The Killer Inside Me

Regia di Michael Winterbottom vedi scheda film

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La recensione su The Killer Inside Me

di FilmTv Rivista
6 stelle

Leggere The Killer Inside Me (Fanucci l’editore italiano) sessant’anni fa doveva essere un’esperienza sconvolgente. Per la prima volta, attraverso un monologo interiore simile a un delirio, si entrava in contatto con un assassino che di mestiere faceva il poliziotto (vice sceriffo in Texas). Altro che Dexter. Quando Stanley Kubrick lesse il libro, assunse immediatamente l’autore Jim Thompson per fargli scrivere Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria. In Europa, negli anni 60, The Killer Inside Me viene pubblicato dal benemerito Marcel Duhamel nella Série noire. Il Giallo Mondadori lo rifiuta perché troppo duro. I primi a dedicargli un saggio critico sono comunque italiani: Oreste Del Buono nella sua collana I Rapidi e Goffredo Fofi nei “Quaderni Piacentini”. Fofi definisce Thompson un misto tra Spillane e Céline, per la brutalità delle situazioni e la genialità della scrittura. Stiamo prendendo tempo per non affrontare questa dolorosa versione cinematografica. Il secondo film tratto dal libro (il primo è un televisivo del boetticheriano Burt Kennedy, con Stacy Keach, del 1976) è girato come sa girare Michael Winterbottom. Malissimo. Per dire: la sequenza in cui il vice sceriffo Lou Ford frusta Jessica Alba è costruita assemblando piani insignificanti, lasciando al pianoforte in colonna sonora la costruzione della tensione (che comunque non c’è). Non esiste alcun senso di mistero nel percorso di un uomo schiavo del proprio inferno interiore, che decide di uccidere un sacco di gente per punire il capitalista del luogo (ma vedendo solo il film, qualcuno capisce da dove nasca il disegno delirante?). Totalmente spazzato via il contesto perbenista ma razzista, fascista, fanatico del Southern Comfort e della gentilezza zuccherosa a meno che tu non sia un negro o un barbone. Nulla. Solo figurine. L’illustrazione dei delitti, qualche scenetta corale, un talento meraviglioso come quello di Casey Affleck lasciato macerare al sole implacabile del deserto del Texas. Uno scempio che meriterebbe le vie legali.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 48 del 2010

Autore: Mauro Gervasini

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