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The Killer Inside Me

Regia di Michael Winterbottom vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Killer Inside Me

di eloiseshf
8 stelle

Casey Affleck è un grande attore. Immenso. Non è nato grande, le sue prime prove recitative sono dimenticabili, ma lo è diventato, con mia grande sorpresa. Non sembrava neppure nato per interpretare Lou Ford, il progenitore di tutti quegli uomini belli fuori e marci dentro che forse ha trovato il suo apice nel Patrick Bateman di Ellis. Ho letto il romanzo per la prima volta nel 1990, durante la riscoperta di Thompson al cinema che ha generato tanti brutti film ed un capolavoro, Rischiose Abitudini di Stephen Frears, e da allora ho pensato a parecchi attori che avrei voluto vedere nel ruolo, e sono sicura che alcuni di loro avrebbero potuto essere perfetti. Casey Affleck non era sulla mia lista, ma ha reso il personaggio completamente suo, di nuovo con mia grande sorpresa.
Vorrei spiegare una cosa a chi avrebbe preferito Tommy Lee Jones o Chris Cooper. Sono texani autentici e sono grandi attori, ma hanno un problema insormontabile: i 29 anni di Lou Ford li hanno passati da un pezzo. Quindi non è Casey Affleck che ha scippato loro il ruolo, ma semmai Stacy Keach, interprete della primo adattamento nei '70 che non ho visto, quindi non so se Jones e Cooper hanno fatto un buon affare a starne alla larga o se si dovrebbero ancora mordere le dita.
Ma torniamo al film e a Casey Affleck, che è la ragione principale della riuscita del film. Dal punto di vista tecnico, riesce a volgere a suo vantaggio uno dei suoi punti deboli, quella voce adenoidale e sgradevole, grazie a un lavoro impressionante sull'accento. Chiudendo gli occhi si potrebbe pensare di star ascoltando Owen Wilson, texano e incatenato al ruolo dell'amicone tutto da ridere, ma con del buio dentro (e non parlo solo del suo tentato suicidio, Wilson è stato un angosciante serial killer nel suo unico film drammatico, The Minus Man). Guarda caso, Wilson era sulla mia lista di papabili, fino al superamento della soglia di età plausibile. Un accento impeccabile (e spesso correttamente impenetrabile) da solo non sarebbe abbastanza. La vera intuizione geniale di C.Affleck è di rendersi conto di essere un attore che sta interpretando un altro attore.
Per tutto il romanzo Lou Ford recita con gli altri personaggi e con il lettore, ed è un attore vanesio, che disprezza il suo pubblico e vuole ingannarlo, ma finisce per ingannare se stesso, credendosi molto più astuto di quello che veramente è.
Casey Affleck riesce a rappresentare non solo l'alternarsi di distacco, sadismo e occasionale empatia di Ford, ma anche i suoi passi falsi,l'eccessiva sicurezza e le espressioni che lo tradiscono e che diversi hanno già notato anche se il vicesceriffo non lo vuole ammettere.E arriviamo al clou della recensione: non so come e perché, ma tutto questo ben di Dio di recitazione non è rovinato da Winterbottom. Già, lui. Non lo detesto come altri qui, anzi, mi è piaciuto moltissimo The Claim, ma quando ho visto "9 Songs" ero dell'opinione che sarebbe stato molto più erotico e artistico filmare l'intero concerto dei Franz Ferdinand piuttosto che il pastrocchio che il regista ci aveva mostrato. Non si può dire che non ami le sfide, filmare un romanzo di culto che vanta l'approvazione di Stanley Kubrick è il modo più sicuro di attirare anatemi preventivi, come si è visto anche su questo sito. Per fare ancora più male a Winterbottom (che deve avere una vena masochista), mi sono riletta il romanzo proprio prima di iniziare la visione. E a mio avviso, Jim Thompson in questo film c'è. Sicuro, sono omesse le (poche) battute sul razzismo del profondo Sud, ma c'è tutta l'ipocrisia di questi tipi che si fanno chiamare gentiluomini, ma sono tanto pronti a menare le donne in casa quanto lo sono a levarsi il cappello fuori e le spingono ad interiorizzare le violenze subite al punto di diventare inerti e quasi complici. Secondo me, questo era il senso delle due scene più controverse del film, che comunque non snaturano l'originale, lo rendono solo più esplicito. La misoginia è rappresentata dettagliatamente, non è MAI approvata. Winterbottom fornisce anche un ottimo cast di contorno, (tranne il sempre monocorde Simon Baker) e sceglie insolitamente di non aggiornare l'ambientazione, scelta che paga bene, essendo questa una storia dove il luogo e l'epoca stessi sono personaggi. Beh, direte, e cosa ci mette di suo Winterbottom? Poco, devo dire, Winterbottom non è un compositore come Frears che riesce a rielaborare materiale precedente facendolo suo, è un direttore d'orchestra che deve far rivivere il compositore. E di Thompson vive non solo ciò che ho già citato, ma anche l'amara ironia nei confronti di un ambiente arretrato, dove la musica classica e i libri difficili vanno nascosti quanto le pulsioni omicide. Più di tutto poi, resta di Thompson il disperato fatalismo, la sensazione che la partita sia persa in culla, e che alla fine tutti, buoni e cattivi, astuti e idioti finiscano in fiamme. Non è il massimo (Frears, appunto), ma non è neanche poco.

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