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How I Ended This Summer

Regia di Aleksei Popogrebsky vedi scheda film

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Marcello del Campo

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su How I Ended This Summer

di Marcello del Campo
10 stelle

Sul fragile traliccio di una trama che si può raccontare in parole e due soli attori, Aleksey Popogrebsky avvince poeticamente con un film privo di azione e quasi muto in cui protagonista è il paesaggio artico e i suoi algidi, impercettibili mutamenti.

Locandina internazionale

How I Ended This Summer (2010): Locandina internazionale

 

Gli uomini sono puntini in movimento nella panoramica orizzontale in campo lunghissimo che riprende il paesaggio polare della stazione meteorologica Archym, Oceano Artico.

Le attrezzature per il monitoraggio dei dati telemetrici, sullo sfondo nitidissimo azzurro-turchese del cielo sopra l’orizzonte che si perde, annegando nell’apparente infinito biancore, - gru, filari di capannine simili a alveari, pali svettanti in un cielo senza nubi, che sembra stare fermo alla nascita del mondo, fili elettrici -, figurano allo spettatore del mondo abitato come l’ordinato caos primigenio dal quale ebbe origine la Terra.

L’occhio inganna chi ignora come è fatta una stazione meteorologica, se ha il senso dell’arte ci vede la formicolante vita cellulare che anima le tele di Klee, ma, ad uno sguardo secondario, si accorge che quello è l’ambiente umano in cui due uomini, l’esperto Sergej Vitalievich e il giovane apprendista Pavel, rilevano i dati da inviare quotidianamente, tramite un sistema trasmittente, alla rete Meteosat: numeri, solo numeri per i profani, in realtà dati sulla temperatura, la pressione dell’aria, l’umidità atmosferica, la velocità e la direzione del vento, la quantità di pioggia caduta.

Sul fragile traliccio di una trama che si può raccontare in poche parole e due soli attori, Aleksey Popogrebsky avvince poeticamente con un film privo di azione e quasi muto, tranne la trasmissione degli aridi dati numerici, che, se il paesaggio non fosse il protagonista eternizzato in impercettibili mutamenti, potrebbe interessare solo gli addetti ai lavori della scienza meteorologica.

Impercettibili mutamenti, ma, nel ciclo dell’alternarsi delle stagioni, il Polo esplode in matasse furibonde di ghiacci che il vento solleva ad altezze in cui l’occhio umano si perde; niente alberi né movimenti selvaggi di foglie e di rami; i tralicci resistono all’urto delle tramontane selvagge; si salvano le case degli addetti al lavoro, fabbricate per garantire la vita di quelli che altrimenti impazzirebbero nella solitudine a due.

Accadde un giorno, racconta Sergej al Pavel, che qualcuno impazzì e sparò un colpo di fucile – “c’è ancora sul soffitto il foro del proiettile.”. Non morì nessuno, muori se incontri l’orso bianco – non devi allontanarti, segnala i dati.

Due uomini diversi: l’esperto stagionale e la matricola. L’uno segna i numeri all’antica – matita e calcolo; l’altro usa i computer e, a tempo perso (lì, tutto il tempo è perso, gli uomini si perdono) gioca con i videogame.

Tra i due c’è il gelo: Sergej è silenzioso, Pavel è estroverso e cerca un varco nel sordo mondo dell’altro. Il film è parente gelido del teatro di Pinter (Il calapranzi), di Beckett anche (Atto senza parole), gemello dei film a due, come Caccia sadica di Losey o Duello nel pacifico di Boorman.

Sono solo assonanze, perché Kak ya provyol letom non è un film-metafora servo-padrone (almeno a un’indagine letterale) né evoca ragioni politiche di solidarietà tra opposti fronti di guerra.

Non tragga in inganno il titolo originale russo, tradotto malamente (questione di spoiler?), Come ho trascorso l’estate, ma (notizia appresa da un commento su IMDb), Come ho ingannato (qualcuno) mentre finiva l’estate.

La lunga estate fredda del Nord.

Sergey è andato a pesca di salmerini nella Baia della Laguna. Al ritorno, ne porterà un bel numero. L’anno prima otto quintali. Li apre dal ventre alla bocca, toglie le interiora e li appende ad essiccare al vento gelido durante i mesi estivi. I salmerini essiccati sono il dono che l’uomo porta a sua moglie Masha. Con lei non si vede da un pezzo. E con il figlioletto Motja. Solo sms, smiley e poi silenzio.

Durante l’assenza di Sergej, Pavel riceve una notizia dalla base Fairy:

 

- Archym chiama Fairy… Archym chiama Fairy.

- Pavel, passami Sergej.

- È al campo.

- Pavel, che balle mi stai raccontando?

- Nikolai Petrovich, non sto raccontando balle. È al campo a prendere il carburante.

- Pavel, scrivi questo radiotelegramma.

- Telegrafate.

- Al capo della stazione meteorologica dell'isola di Archym della Rete Meteorologica Statale del Distretto Autonomo della Chukutka, Sergej Vitalievich Gulybin.”S. V. Gulybin. A causa di un incidente, sua moglie e suo figlio... sono stati portati in ospedale, in gravi condizioni. Prendiamo provvedimenti e vi mandiamo immediatamente la nave Accademico Obruchev. Preparatevi per la sospensione della stazione. N. P. Safronov, capo della Rete Meteorologica Statale.

 

Pavel, inspiegabilmente, non darà la notizia della morte di Masha e Motja al silenzioso Sergej.

Chiedersi perché i sentimenti degli uomini mutino nel gelo, perché Pavel nasconda come un segreto una perdita inconsolabile all’onesto Sergej è un mistero che è senza soluzione.

Ancora una volta, nel cinema del freddo, l’ipofania iemale gioca con l’ottundimento della ragione. Ma ci sono ragioni esplicabili nel finale radioattivo che accomuna questo magnifico film alle metafore di scrittori russi della sovversione (post Cernobyl) dei codici, come Ghiaccio di Vladimir Sorokin e Animator di Andrej Volos. [rispettivamente Einaudi e Frassiìnelli]

 

 

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