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Genitori & figli. Agitare bene prima dell’uso

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Genitori & figli. Agitare bene prima dell’uso

di degoffro
2 stelle

Giovanni Veronesi è, ai miei occhi, un miracolato. Come possa lo sceneggiatore/regista di film esclusivamente mediocri, sciatti e dozzinali, quando non irritanti ed imbarazzanti, per lo più furbastri e ruffiani, aver ottenuto un quasi costante e fortunato riscontro al box office rimane un mistero. Per fortuna che di fronte al terzo capitolo di “Manuale d’amore” anche il grande pubblico pare aver iniziato ad aprire gli occhi. “Genitori & figli” (quasi 9 milioni di Euro al box office nazionale, ma già in netto calo rispetto a “Italians” e ai due Manuali d’amore) è di un qualunquismo e di una vacuità sconfortanti. Vorrebbe essere uno spaccato sincero e credibile sullo status quo nel rapporto giovani e adulti, in perenne conflitto generazionale, ma si rivela insulso, schematico, gridato, noioso, pretestuoso, fastidiosamente sopra le righe. A voler essere molto buoni, pur con tutti i suoi limiti, si salva il prologo con la discussione furiosa ed esagitata tra papà Michele Placido, professore di liceo, e figlio universitario pronto a partecipare al provino del Grande fratello ed aspirante attore, con mamma Margherita Buy a fare da cornice (in tutti i sensi), poi inutilmente replicato nella patetica e stiracchiata conclusione. Il resto è sinceramente da buttare. L’aspetto più sorprendente, in senso negativo, è che il film, al di là delle superflue, fallimentari e presuntuose ambizioni sociologiche, non fa nemmeno ridere. Inoltre ha il grosso limite di cadere proprio in quella volgarità e superficialità che vorrebbe sbertucciare. Veronesi riesce a preparare un minestrone rancido, zeppo di stanchi stereotipi, anonimi e stupidi bozzetti, riciclate e stracche situazioni da barzellette di quart’ordine. C’è così il bimbo razzista che picchia un compagno di classe rom (con una punta appena temperata della matita lo colpisce al collo provocandogli un taglio da tre punti di sutura) perché odia tutti quelli che non sono italiani e lo mette bene in chiaro anche nei temi di classe: niente problemi tanto poi c’è la visita al campo rom della madre per chiedere umilmente scusa dando 100 Euro al bimbo ferito per mettersi a posto la coscienza (in una sequenza di un razzismo ancor più becero e pericoloso di quello fumettistico e dunque innocuo del piccolo protagonista). C’è la quindicenne che vorrebbe perdere la verginità (ma va?): apposta per lei è pronto il ragazzino cinese che, nello spogliatoio della palestra, regala a tutte le fanciulle vogliose servizi all’occorrenza, così può più facilmente integrarsi nella società (altro bello spunto razzista). C’è il padre divorziato che vive su una barca, se la vorrebbe spassare con la migliore amica della ex moglie (ma ogni loro tentativo di focoso amplesso viene malamente interrotto sul più bello con la donna che finisce sempre per sacramentare tanto da decidersi saggiamente che quella relazione non fa per lei), non parla con sua madre da più di quindici anni perché con la sua vita viziosa ha fatto morire di crepacuore il padre e regala perle di saggezza alla figlia con discorsi pieni di incomprensibili metafore sull’importanza della prima volta, salvo essere sputtanato proprio dalla figlia che riprende i suoi deliri con il cellulare e poi li fa circolare in rete con il titolo “Padre fossile a cui scureggia il cervello” (sigh!). C’è la nonna acida e rompicoglioni, collezionista di parrucche, con il vizio del gioco e del whisky e con un linguaggio da caserma, una che a suo dire, non è mai stata “una brava ragazza”, ricoverata in ospedale, e con cui la nipote quindicenne (quella che vuole perdere la verginità) entra subito in sintonia, in tenera ed intima confidenza e sorprendente complicità (non si sono mai conosciute) tanto che la nonna, accertatasi dell’intelligenza della ragazza(“Per una donna l’intelligenza è importante: più delle tette e del culo!”) le dà le chiavi del suo appartamento dove potrà finalmente fare l’amore per la prima volta con il suo innamorato, perché, evidenzia la vecchia, il posto dove farlo è importante (e un letto circolare in un lussuoso appartamento è decisamente meglio che il magazzino della palestra di scuola). C’è il giovane che vuole partecipare e vincere il grande fratello così potrebbe guadagnare 300.000 Euro facili facili suscitando l’indignazione dei genitori ma di notte rivela una insospettabile sensibilità animalista e si diverte a nuotare nella vasca di un parco acquatico con un’orca gigantesca (peccato non assassina), ripreso dall’amica, per dimostrare che gli animali non fanno nulla se non sono provocati dagli uomini. C’è la madre isterica e nevrotica, caposala di ospedale e con la passione per Gianna Nannini (la sequenza, sulle note di “Maledetto ciao”, che sancisce il ritrovarsi madre e figlia, complice un autografo della cantante, è di una retorica tronfia e deprimente), che dà risibili consigli alla figlia sul ritardare il più possibile la prima volta (alla fine si va sempre a parare lì) mentre lei se la intende con un collega sposato con tre figli, alto il doppio di lei (giusto per regalare una battuta scema – “Non ho capito se è lui che è alto o tua madre che è bassa!” - puntualmente passata sul trailer), salvo poi accorgersi che si tratta di un pirla. Meglio allora tornare con l’ex marito, nel frattempo pure riappacificatosi al capezzale della madre, e fare un tuffo in mare con lui e i figli tra le ceneri della suocera in una improvvisa e ritrovata armonia. Non manca proprio nulla in questo calderone rimasticato, scialbo ed approssimativo, dal moralismo spicciolo ed esecrabile e dal buonismo enfatico ed indisponente, che ha ben poco da invidiare alle grottesche, fasulle e romanocentriche (i più reconditi istinti leghisti vengono trattenuti a fatica) vicende dei Cesaroni (non a caso nel cast figura una sprecatissima Elena Sofia Ricci) e che vorrebbe costituire un allegro e credibile manuale di istruzioni per l’uso (questo è il sottotitolo del tema che il professor Placido dà ai suoi studenti dopo la furibonda litigata con il figlio e che dà il là al racconto della protagonista), anche se poi qui le uniche istruzioni che si ricordano sono quelle che le disinibite amiche danno alla giovane ed impacciata protagonista sull’uso del preservativo servendosi di una carota (evidentemente non seguite visto che poi dobbiamo pure sorbirci la sequenza in cui i due ragazzi fanno il test di gravidanza). C’è pure spazio per camei inutili (della Nannini e di Sergio Rubini nei panni di un paziente infetto dell’ospedale) e per una lettura in classe, carica di doppi sensi, del Tasso (povero lui!). Attori di grido in disarmo (il peggior Silvio Orlando che io ricordi, mentre la Littizzetto conferma purtroppo la totale negazione per il cinema), giovani promesse disarmanti (si salva solo Chiara Passarelli, la giovane protagonista, per una volta non una ragazzina mocciosa ,come giustamente è stato scritto da più parti), regia e sceneggiatura (collaborano Ugo Chiti e Andrea Agnello) da plotone di esecuzione per il consueto prodotto preconfezionato a firma De Laurentiis. Destano vero scalpore le candidature ai Nastri d’argento per la migliore commedia e il miglior soggetto, tristissimo indice di come purtroppo ci siamo ridotti. Certo che se il parametro di riferimento è diventato la spazzatura invereconda di Moccia è chiaro che anche robetta insignificante, convenzionale e spicciola come questa può avere un suo perché. Mortificante.

Voto: 3

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