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Lo stravagante mondo di Greenberg

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su Lo stravagante mondo di Greenberg

di FilmTv Rivista
stelle

Cosa vuol dire avere 40 anni suonati, uscire da una degenza per problemi psichici, tornare per qualche settimana a Los Angeles da New York, in cerca di tranquillità perché tuo fratello e famiglia sono in vacanza e ti prestano casa con piscina. Tentare di ricucire i pezzi e di lasciarti andare a un improbabile amore. È ciò che capita a Roger Greenberg (Ben Stiller), un presente da falegname nella Grande Mela, un passato come probabile, inespresso leader di una rock band. Sociopatico, umorale, Greenberg sfoga la sua nevrosi di egomaniaco e sedicente fallito stendendo l’interlocutore con la sua logorrea e il suo occhio sbarrato, oppure scrivendo lettere di lamentela ai giornali o alle società che non l’hanno soddisfatto con i loro servizi. È un personaggio tipicamente alleniano. E Noah Baumbach (Il calamaro e la balena, Il matrimonio di mia sorella), oltre alla riconoscibile matrice ebraica, con Allen ha molto in comune. Non fosse altro per il fatto che Lo stravagante mondo di Greenberg sembra la gemmazione malinconica di quel segmento di Io e Annie in cui Alvy Singer, newyorchese doc, cerca di sopravvivere alla Città degli Angeli: anche Roger, come Singer, è un “ospite” che non riesce ad adattarsi, se non con il suo meticoloso, stronzo senso critico. Il cinema di Baumbach (cinefilo patologico: ha chiamato Rohmer il figlio avuto da Jennifer Jason Leigh) punta in alto, ispirandosi a Mazursky, Cassavetes, Ashby, Altman. Alle loro lunghe scene di dialogo preciso, intimo, graffiante, ai loro personaggi difficili, mediocri e profondi. Ma riserva anche molta attenzione alla musica, sia per il teso score di James Murphy, sia in sceneggiatura: in una scena di party, Greenberg cerca di propinare a 20enni 2.0, da cui si sente lontano anni luce, The Chauffeur dei Duran Duran («grande musica, per la coca!»). Meraviglioso esempio di registro tragicomico, Greenberg. Che a darne prova sia un mostro della commedia demenziale come Stiller – qui scavato, concentratissimo, quasi mai sorridente – commuove e conforta.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 14 del 2011

Autore: Pietro Lanci

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