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Lo stravagante mondo di Greenberg

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su Lo stravagante mondo di Greenberg

di Paul Hackett
6 stelle

Reduce da un ricovero in clinica per esaurimento nervoso, il quarantenne alla deriva Roger Greenberg da New York ritorna nella Los Angeles della sua adolescenza, dove la sua labile e complessa psicologia ben presto paleserà i suoi limiti e mostrerà i segni di un nuovo tracollo. Da tempo seguo con interesse la carriera di Noah Baumbach, che ebbi modo di "scoprire" anni fa con la visione della deliziosa commedia "Mister Jealousy", da lui scritta e diretta nel 1997. Il regista americano (non a caso sodale di Wes Anderson nella realizzazione di opere come "Steve Zissou" e "Fantastic Mr. Fox") ama popolare le proprie pellicole di personaggi emblematicamente "borderline", persi nel labirinto di faticosissimi rapporti umani, quasi sempre inadattabili ed inadeguati (specie rispetto alla realtà di una società competitiva come quella americana), perennemente sull'orlo di una crisi di nervi, equilibristi sul filo di una precaria stabilità mentale eppure disperatamente aggrappati alla propria "irregolarità" come unico possibile stile di vita... Roger Greenberg è l'ennesimo anti-eroe di quel racconto assai poco epico e parecchio tragicomico che Baumbach sta srotolando attraverso il filo rosso di pellicole non semplici e spesso nemmeno piacevoli ma che, a maggior ragione in un'epoca conformista come la nostra, costituiscono un patrimonio quasi "necessario" del cinema contemporaneo. E "Lo stravagante mondo di Greenberg", diciamolo subito e anche chiaramente, NON è un film piacevole: è una pellicola che non inizia da nessuna parte e non porta da nessuna parte (esattamente come l'esistenza del suo impossibile protagonista) e durante la quale non succede un beneamato piffero o, almeno, nulla che sia minimamente degno di essere raccontato per immagini con relativo spreco di pellicola (ma si userà poi ancora la pellicola? Boh!). Roger Greenberg, interpretato da un bravissimo e nervoso Ben Stiller in inedita (ma in fondo nemmeno poi tanto) chiave drammatica, è un personaggio a dir poco insopportabile: logorroico, egocentrico, irascibile, anaffettivo, ripiegato alla perenne e nostalgica contemplazione della propria giovinezza nel consapevole rimpianto di non essere riuscito a viverla intensamente (particolarmente imbarazzante la sua partecipazione alla festa di ventenni organizzata dalla nipote) e tragicamente incapace di vivere e anche solo tentare di essere felice. Con un protagonista del genere non poteva che venire fuori un film sgradevole e claustrofobico, che non si lascia vedere volentieri e che non suscita empatia, al limite commiserazione, più spesso irritazione e, qualche volta, inopinatamente, preoccupazione al rendersi conto di quanto, in fondo in fondo, siamo somiglianti a Greenberg, alle sue fisime, alle sue inadeguatezze, alla sua diperata e disperante incapacità di vivere. Un film programmaticamente sgradevole, quindi, ma per certi versi necessario, che ha i suoi principali limiti nel suo essere ostinatamente poco fruibile e i suoi pregi, paradossalmente, proprio nel senso di disagio e insofferenza che riesce a trasmettere. Alla fine non me la sento né di esaltare e nemmeno di stroncare, ma solo di proporre un giudizio piatto e incolore, esattamente come la grigia e tediosa esistenza dell'insopportabile Roger Greenberg: tre stelle.

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