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Alice

Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film

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Utente rimosso (PoorYorick)

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Alice

di Utente rimosso (PoorYorick)
10 stelle

Alice, stufa di stare insieme alla sorella, insegue un coniglio e finisce sottoterra, nella sua tana, ingresso di un mondo fantastico popolato di strambe creature. Ma l’interpretazione e la messinscena di Švankmajer è unica ed originale. Il coniglio è un vecchio coniglio impagliato che perde la segatura della sua imbottitura e che si rammenda da solo con una spilla da balia, il bruco è un vecchio calzino con la dentiera, e tutti gli animali sono sinistre creature assemblate con crani, stracci e vecchi oggetti, simili per molti aspetti alle strabilianti opere di Jean Tinguely. Alice invece è una bambina in carne ed ossa, incredibilmente espressiva e dallo sguardo spietato di quella fanciullezza che a breve inizierà la metamorfosi verso l’età adulta.

Una particolarità della pellicola è per l’appunto l’aver modificato l’aspetto di tutte le creature presenti nel libro, per avvicinarle ad oggetti presenti nel mondo casalingo di una bambina, come ad esempio il brucaliffo, reso tramite un calzino con la dentiera. In questo modo il film mantiene sempre una certa ambiguità di fondo, lasciando al termine della visione la possibilità allo spettatore di decidere se tutto ciò che è successo facesse parte della fantasia di Alice come nel libro, o se invece si fosse trattato di un viaggio reale.

Tutta l’essenza di questa complessa opera è contenuta all’interno della frase iniziale, in quanto l’approccio a questa pellicola non deve assolutamente essere un approccio convenzionale. Non ci si può sedere di fronte allo schermo pensando di vedere un film chiuso all’interno dello spazio ri-creato dal regista, ma vi è la necessità di lasciar aperti ampi spiragli all’opera stessa affinché possa penetrare dentro di noi, coinvolgendoci intimamente negli ambienti e nelle vicende che scorrono davanti ai nostri occhi, esattamente come se stessimo scrutando dentro ai nostri incubi infantili.

Švankmajer è riuscito nella difficilissima impresa di comporre un’opera di intimi ricordi, di fugaci visioni, di ancestrali paure che si riassemblano tutte, una dopo l’altra, nell’inesplorabile e inconoscibile spazio onirico.

Onirismo che per il regista non è un’entità astratta rilegata a notturne visioni, bensì è uno spazio che si sovrappone a quello reale da noi conosciuto, che nei momenti nei quali predomina non significa abbia oscurato lo spazio reale ma che vi abbia aderito completamente, fondendosi con esso, mescolando il possibile all’impossibile, il reale al surreale.

Jan Švankmajer rispolvera la [temporalmente] vecchia storia di Alice Nel Paese Delle Meraviglie, scritta da Lewis Carroll nel 1865, e la rilegge totalmente con l’incredibile merito di stravolgerne il classico punto di vista, quasi ribaltandolo completamente, pur rimanendo assolutamente fedele alla trama originale. Non inventa nulla, se non qualche fugace scena qua e là, ma estrapola ciò che era già insito nell’opera originale tramite un procedimento di analisi psicoanalitica tanto di Carroll, quanto di Alice, quanto del lettore, quanto di sé stesso, che con ogni probabilità avrebbe mandato in visibilio il già citato Freud.

Gli ambienti che la protagonista deve affrontare sono per ciò completamente nuovi. L’iconografia non pare desunta da alcun precedente né cinematografico né d’illustrazione. L’unica eccezione è data dalla bionda Alice, che è di diretta derivazione dall’Alice disneyana e, ancor prima da quella illustrata da John Tenniel nelle prime edizioni del libro, dove Alice è bionda non per scelta dell’autore ma perché Carroll venne accusato di pedofilia dai genitori della piccola Alice Liddell, bambina ispiratrice del romanzo, e quindi non ebbe il permesso di ritrarla per come realmente si presentava, ovvero con i capelli neri.

La visione di Švankmajer è surrealista nella forma ma estremamente aderente alla realtà nei fatti. Non esiste una realtà pura e innocente, nemmeno negli spazi della mente. Esiste soltanto una realtà naturalmente onnicomprensiva del bene e del male, e sotto l’egida di questo Abraxas in ogni istante si deve giocosamente lottare per la sopravvivenza. Lotta che avviene nella materia che ci circonda ma che trova il suo più fertile campo di battaglia nella nostra mente.

Rattrista davvero al giorno d’oggi vedere un regista come Tim Burton, da sempre considerato l’erede hollywoodiano di Švankmajer, che nel 2010 realizza la più disgustosa della versioni cinematografiche delle avventure della piccola Alice. Nell’Alice di Burton tutto è banale e commercializzato, così persino la lotta interiore della protagonista diventa una deplorevole parata di figurine stereotipate già vista mille altre volte in altri mille film di genere fantastico.

A Švankmajer invece basta realizzare 3 secondi di ripresa in stop motion, sua vera cifra stilistica, in primo piano su un bianconiglio sottovetro che essendo impagliato si libera faticosamente dai chiodi che lo ancorano alla base in legno. In quel primo approccio all’inverecondo essere è già stata rappresentata più incredula tensione tra bene e male che in tutto il lungometraggio di Burton.

N?co z Alenky è un capolavoro assoluto, è un nuovo modo di fare cinema e di rileggere un’opera preesistente, è un innovativo modo di trattare l’infanzia e la sua fruizione.

Film per tutti, non da tutti

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