Regia di Yukio Mishima, Masaki Domoto vedi scheda film
Straordinaria tragedia necessaria, calcolata nella sua irreversibilità, inevitabile per poter riscattare il patriottismo e l'onore: una concezione tipicamente giapponese ma che Yukio Mishima (aiutato da Masaki Domoto) riesce stupendamente a rendere in tutta la sua portata universale, nel suo significato (se non altro, emotivo) col suo unico film: Yukoku (Patriottismo) o The Rite of Love and Death.
Titoli che evidenziano da subito il contenuto: non solo il movente (il fallimento di un colpo di stato), ma soprattutto il legame tra eros e thanatos, analizzato fin dall'alba dei tempi, ossia il margine osmotico tra la creazione e il disfacimento in questo mondo, che scatenano i più contrastanti moti dell'animo: gioia e dolore, in tutte le loro declinazioni.
Da evidenziare, tra parentesi, il curioso parallelismo tra Mishima e Jean Genet: entrambi tra i maggiori scrittori del XX secolo, un unico film all'attivo come registi (ma di grande importanza) in cui, differenze permettendo, l'amore e l'attenzione fotografica e sensuale dei corpi li accomuna, insieme alla scelta dei contrasti del bianco e nero.
Mishima conflagra (proprio come il titolo di un suo racconto) la vita con l'arte, la bellezza assoluta e quella finita con il culto imperiale e appunto, tanto più, l'amore con la morte, fino all'utopico e disperato seppuku del 1970, come il Takeyama di Yukoku.
Mishima allora per rendere tutto ciò tende all'opera d'arte totale: alla ripresa cinematografica con mdp bassa, quotidiana, debitrice di Yasujiro Ozu, unisce l'epica dell'onore, accosta l'essenzialità stilizzata della messinscena teatrale, la letteratura (non solo come soggetto, ma anche a livello di suddivisione in capitoli), il modello della bellezza classica greca per la resa del corpo umano (quindi l'arte plastica e pittorica), e, di primaria importanza, la musica, che è guarda caso un ampio estratto del genio di Richard Wagner, fautore della riforma del melodramma come Gesamtkunstwerk (l'esempio massimo della forza distruttrice della passione: la morte di Isotta). La musica infatti è un ribollire concatenato di armonie instabili che, notoriamente, non risolvono nella pacificazione dell'accordo consonante se non alla fine dell'ampio discorso che il compositore deve mettere, appunto, in tensione. Tensione portata fino allo spasimo emotivo dell'orchestra per poi svanire purificata.
Mishima segue esattamente il discorso musicale con gli avvenimenti del film: dall'arrivo dell'ufficiale dalla moglie, alla soddisfazione dell'amore (fisico e spirituale) come preparazione e metamorfosi in sacrificio, dalla contemplazione della bellezza umana fino alla lacerazione (ancora fisica e spirituale insieme), resa dalla purezza lineare sia della carne che dell'ambiente, dai forti chiaroscuri, come la scintillante e fredda precisione della lama. Dal ventre di Takeyama (Mishima) sgorga denso e cupo il sangue che inonda il pavimento e schizza sulla parete bianca; parallelamente la moglie Reiko (Tsuruoka), dopo essersi di nuovo acconciata, violenta la morbidezza e il candore del proprio corpo con un pugnale: un corpo tanto candido che il sangue espulso appare anch'esso bianco contro la parete invece scura. Tutto con estrema ieraticità e compostezza, ma che sono il mezzo per la più forte passione, come nelle più grandi opere d'arte.
Nel 1966, sedici anni dopo Genet, Mishima dirige e interpreta Yukoku; nel 1986, sedici anni dopo il suicidio di Mishima, muore Genet. Nel 1985 Paul Schrader dedica alla morte di Mishima un importante omaggio, dove si rievoca anche la produzione del suo film. 10
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