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Pontypool

Regia di Bruce McDonald vedi scheda film

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La recensione su Pontypool

di pazuzu
8 stelle

Grant Mazzy non fa prigionieri. È uno speaker radiofonico caustico rude ingestibile e senza peli sulla lingua: un idealista. Per questo ha un grande pubblico di affezionati. E per questo è stato fatto fuori dal giro che conta. All'alba di un rigido San Valentino, si appresta a ripartire dal basso, dalla piccola radio di una piccola cittadina canadese: la radio è la 660 CLSY, la cittadina è Pontytpool, in Ontario. Ma che non sarà una giornata come le altre lo intuisce da subito, quando, per la strada ancora buia, sotto una tormenta di neve, una donna dallo sguardo perso si scaglia contro un finestrino della sua macchina sbraitando parole incomprensibili per poi dileguarsi. Cosa le è successo? Avrà avuto bisogno d'aiuto? Lo speaker entra nella stazione radio portandosi dietro questi interrogativi e meditando di riproporli agli ascoltatori. Con lui ci sono la produttrice Sydney Briar, costantemente tesa a contenerne l'esuberanza, e la regista Laurel-Ann Drummond, ben più tollerante nei confronti della sua ironia al cilicio.
La nuova avventura professionale di Grant Mazzy ha quindi inizio, e subito l'etere si riempie di parole: lui parte a ruota libera e il pubblico risponde presente, mentre l'inviato Ken Loney dal suo elicottero "Sunshine" tasta il polso della città. Proprio dalla sua voce arriva il primo allarme concreto: qualche centinaio di persone circonda una clinica con fare minaccioso e senza una ragione apparente. E in men che non si dica la situazione precipita: la clinica viene messa a ferro e fuoco, mentre la gente vaga impazzita pronunciando frasi sconnesse e aggredendo altra gente. I morti non si contano, e la polizia brancola nel buio. Cosa sta succedendo a Pontypool?
Quasi interamente ambientato all'interno della stazione radio (se si eccettua la breve sequenza iniziale), Pontypool è un film singolare ed irripetibile, una vera e propria mosca bianca nel panorama del cinema horror contemporaneo. Perché quello che a prima vista potrebbe apparire come l'ennesima variazione sul tema degli zombie, è invece un horror concettuale e filosofico che, in tempi di stereoscopia e di torture porn, sceglie di far paura attraverso (nientemeno) le parole ed il linguaggio.
Come i tre protagonisti, lo spettatore resta intrappolato nel quartier generale della radio, avvinto dalla tensione e senza alcuna possibilità di uscire o di mutare prospettiva. Quello che succede fuori, e che si avvicina inesorabilmente, giunge forte e chiaro attraverso le voci terrorizzate di chi non avrà più nulla da poter raccontare. Sta proprio qui la genialità di un'opera in grado di trasformare in virtù la pochezza dei mezzi: l'idea folle alla base di Pontypool è far scorrere i fatti attraverso il filtro necessario della voce (roca, calda, indimenticabile) dello speaker Grant Mazzy (uno strepitoso Stephen McHattie), delle sue collaboratrici e dei vari interlocutori, elevando la parola a vero e proprio fulcro del film. Perché è soggetto ed oggetto della narrazione, ne è protagonista ed antagonista al tempo stesso; perché il virus è nel linguaggio, e la parola lo veicola, è contagiosa, rende violenti, fa impazzire, annienta. E non c'è modo di sfuggire alla fine se non scegliendo di regredire, di tacere, di smettere di interpretare, di rinunciare a comprendere.
Tratto dal romanzo Pontypool Changes Everything di Tony Burgess, quello di Bruce McDonald è un film serrato claustrofobico ed intenso, un horror originale e teorico che, in palese controtendenza rispetto ai tempi, trova il coraggio di rilanciare il culto della parola e della scrittura, in risposta a quello sempre più asfissiante dell'immagine.

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